Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 28 luglio 2014

Sulle strade del Mondo…

Giovedì 24 luglio, giorno della partenza. Lorenzo ed io abbiamo tutto pronto, biciclette a posto, provviste ben imbustate, borse caricate sui portapacchi. Manca solo il primo colpo di pedale. Già, il primo colpo di pedale. Semplice a dirsi, sempre che la Protezione Civile non decida di diramare un’allerta per previsioni del tempo avverse. L’idea iniziale era quella di partire appunto giovedì mattina, sul presto, raggiungere Genova e qui incontrarci con Simona e Daniele, i due giramondo in bicicletta, per proseguire con loro verso Savona. Dato però che il meteo sconsiglia di mettersi in viaggio, decidiamo di prenderci qualche ora di tempo per vedere come evolve la situazione. Peraltro, anche i nostri amici hanno deciso di non muoversi e di approfittare della pioggia per riposarsi dalle fatiche del giorno prima: 95 chilometri, con passaggio sull’impegnativo Passo del Bracco.
E così, dopo un ultimo consulto telefonico, Lorenzo ed io decidiamo di partire nel primo pomeriggio. Caricare le biciclette sul treno, oberate dalle borse e dalla tenda da campeggio, non è cosa semplice. E diviene anche cosa ridicola se ci si dimentica inopinatamente di legare un paio di cinghie al telaio: trovarsi in cima alle scalette del predellino, con le borse tragicamente ribaltate per terra (e la tenda finita sotto i binari), e lo sguardo del capotreno puntato addosso, mentre scrolla il capo con un’espressione tra il pietoso e il disgustato, non ha eguali! Se poi sul convoglio, debitamente segnalato come abilitato al trasporto biciclette, manca completamente la carrozza che ospiti i nostri mezzi, non resta veramente che piangere. Per fortuna troviamo un pertugio dove sistemare le nostre due ruote e così l’avventura può cominciare. A Milano piove ancora, ma più ci avviciniamo alla costa ligure più il tempo si rasserena. Chiamo Simona e le confermo che nel tardo pomeriggio saremo da loro. Ovvero nei pressi di Lavagna. Per giorni ho tormentato questi nostri amici con la domanda delle domande: che strada farete per salire al nord? E la risposta era sempre la stessa: “Non lo sappiamo con certezza”. Ora lo confesso: all’ennesima risposta di questo tenore, un minimo di risentimento l’ho provato. Mi dicevo: “Ma cacchio…, possibile che non abbiano ancora deciso se passare da Piacenza o se tirare diritto per la Liguria…?”. In realtà, solo chi intraprende un viaggio come questo - o anche ne compie un piccolo tragitto, affiancando i protagonisti di questa impresa - può rendersi conto delle mille incognite che gravano sul corso degli eventi. Basta una giornata di pioggia per mandare a monte tutti i piani. E poi c’è da tenere in considerazione la condizione fisica - che non è uguale e al top tutti i giorni - ; gli inconvenienti tecnici e meccanici legati ai mezzi e agli strumenti; le eventuali offerte di ospitalità - che magari non si trovano esattamente sull’itinerario studiato. E poi tutto ciò che non è legato al ponderabile, e che fa di questo viaggio una vera avventura. Ed in effetti, per Simona e Daniele, da che aprono gli occhi al mattino, a che li chiudono alla sera, è davvero tutto un’avventura: chiudere la tenda e sistemare i bagagli (non ci si rende conto di quanta roba si portino dietro, fino a che non la si vede sparpagliata per terra…); scegliere l’itinerario meno faticoso e approntare il piano di viaggio; prepararsi per la partenza; pedalare lungo strade spesso trafficate su di una bicicletta pesantissima; affrontare salite spesso sfiancanti; e poi, nel corso delle ore di pedalata, cominciare a pensare a dove accamparsi e dove trascorrere la notte. Un impegno fisico e psichico che metterebbe alla prova anche il più atarassico dei bonzi tibetani. E tutto questo ogni giorno che Dio manda in terra. E non mi soffermo su tutto ciò che è l’aspetto mediatico del viaggio: aggiornamento del sito, comunicazioni sui social - network, risposte alle mille domande che quotidianamente pongono i cosiddetti “followers”. E ancora foto, scrittura testi, commenti…! Insomma, un lavoro a tutti gli effetti.
Ma torniamo a noi: giunti a Genova il cielo si è rasserenato definitivamente e così, Lorenzo ed io, decidiamo di scendere dal treno e di fare una bella e lunga pedalata fino a Lavagna. Uscire dal centro cittadino è come attraversare un girone dantesco: traffico, smog, automobilisti incazzati come vipere soffianti, camion a pochi centimetri dalle nostre ruote. Una gara per la sopravvivenza in piena regola. Seguiamo l’Aurelia e ci lasciamo a tutta birra questo inferno alle nostre spalle! Quarto, Quindo, Nervi, Bogliasco, Pieve Ligure, più ci allontaniamo da Genova, più la pedalata diventa piacevole. La SS 1 corre sinuosa e parallela al mare, regalando scorci di una bellezza a tratti unica. Il percorso poi è continuamente ondulato, a brevi salite seguono gradevoli e riposanti discese in un incessante saliscendi sempre diversi gli uni dagli altri. Abbiamo tuttavia ancora le forze fresche e tutto ciò non ci spaventa. Proseguendo superiamo Sori, Recco, e ancora Camogli. Da qui comincia la prima vera difficoltà di giornata: la salita a Ruta. Da quota mare dobbiamo raggiungere i 269 metri: sono solo pochi chilometri di salita, ma le pendenze sono importanti, e il sole picchia forte. Sudiamo come orsi marsicani, sputacchiamo e urlacchiamo spezzoni di frasi infarcite di atroci turpiloqui. Il peso sulla bicicletta si fa sentire in maniera allarmante: sembra che un qualche farabutto si sia aggrappato al portapacchi e cerchi a tutti i costi di frenarci. Mezz’ora di sofferenza ed infine eccoci in cima. Breve sosta sul balcone panoramico, bevuta rigenerante alla fontana pubblica e ripartenza. Da Ruta è tutta una discesa fino a Rapallo: sette chilometri e mezzo di godimento puro accarezzati dalla brezza che spira dal mare. Superiamo Zoagli, ancora una serie di saliscendi che seguono il profilo frastagliato della costa, ed infine ecco l’ultima difficoltà di giornata: la salita al Santuario Nostra Signora delle Grazie. Le pendenze sono abbastanza abbordabili, ma arrivano al termine di un tragitto impegnativo. Arranchiamo mulinando rapporti da Mortirolo. Poi ad un tratto la strada spiana, e in un baleno siamo giù a Chiavari. Sono ormai le otto di sera. La cittadina balneare è affollata e disperatamente cerchiamo qualche indicazione per Lavagna: nulla di nulla. Chiediamo ad una signora, e questa, sfoderando un sorriso consolatore, ci dice che superato il ponte ci siamo. Ora non ci resta che trovare il nostro campeggio. Più facile a dirsi che a farsi. Mancano infatti le segnalazione, e quelle pochissime che ci sono riguardano campeggi diversi dal nostro. Allora ci fermiamo a chiedere ai passanti: nulla di nulla. Anche i residenti ignorano l’esistenza di questo campeggio. A quel punto ci fidiamo di un tizio che ci dice che la zona dei campeggi è più giù, lungo la costa. Arriviamo così fin quasi a Cavi di Lavagna. Poi però la cosa ci sembra francamente eccessiva e così contattiamo Simona. Anche da lei però, giungono informazioni vaghe: l’ingresso del campeggio è sul lungomare; ma anche dalla collina…! E comunque non ci sono indicazioni. Giriamo ancora a vuoto, mentre la stanchezza e la rabbia cominciano a montare. Alla fine troviamo un ragazzo che fa le consegne in scooter per una pizzeria: è il nostro salvatore…! E così, dopo un’ultima breve salita verso la collina raggiungiamo l’ingresso del campeggio. Ovviamente nessuna insegna neanche sul cancello d’entrata…! Sul vialetto alberato sento la voce squillante di Simona che ci chiama: ce l’abbiamo fatta. È bello rivedere questa nostra piccola grande amica dopo tanto tempo, e in queste circostanze: l’ultima volta c’eravamo visti a Roma, un marzo di un paio d’anni fa. Ci appare subito in ottima forma, abbronzata, il fisico asciutto, il sorriso smagliante. La bicicletta fa davvero un gran bene. Lasciamo le nostre “giumente” e andiamo a conoscere Daniele, il suo compagno di viaggio e di vita. Questi è seduto ai tavoli di legno del campeggio, ed è circondato da un numero impressionante di apparecchi elettronici: pc, tablet, cellulari, fotocamere, hard-disk. Appena ci vede ci fa un grande sorriso e ci viene incontro. Daniele è una persona solare al pari di Simona, e in pochi attimi s’instaura un clima di grande armonia e serenità. Come se ci conoscessimo da sempre. Come da copione Lorenzo ed io cominciamo a fare domande su domande (sul come quando dove perché di questo viaggio…) e loro, come altrettanto da copione, ci rispondono…! Chissà quante volte hanno dovuto raccontare le stesse cose, e chissà quante altre volte dovranno farlo nel corso dei mesi e degli anni che saranno in giro per il Mondo…! È un pensiero che mi attraversa come una folgore la mente, e da quel momento cercherò di non fare loro più domande su questo argomento. Infondo Daniele e Simona sono persone come noi (anche se un tantino particolari…) e sono tanto altro oltre che due “matti” che intendono fare un giretto in bicicletta. Oltretutto, proprio perché il giro del Mondo in bicicletta (superando peraltro i passi di montagna più alti del Mondo…) è un’avventura che non ha certezza alcuna - se non la loro volontà di tentarci - è quasi imprudente parlarne nei minimi dettagli. O almeno questo è quello che ho percepito nelle loro parole. Come a dire: “Sì ok, questo è quello che vogliamo fare…, ma non diciamolo troppo forte”. E non credo che si tratti di scaramanzia, ma di semplice consapevolezza delle difficoltà enormi che comporta un’impresa di questo genere. E così, nel corso della serata parleremo sì del loro viaggio, ma anche dei ricordi che ci legano a Simona, dei trekking fatti durante questi anni, dei loro viaggi pregressi, della loro e della nostra storia personale. Ed è una bella serata, trascorsa intorno ad un tavolo sotto un pergolato frondoso, tra marmocchi che giocano a rincorrersi e pizza e coca d’ordinanza…!

La mattina seguente ci prepariamo e siamo pronti a partire: lungo il vialetto incrocio il titolare del camping: «Ma senta un po’ - gli chiedo risentito - come mai non c’è neanche un’indicazione per il vostro campeggio?». E lui: «Lo facciamo a posta: sennò viene troppa gente». Al che mi guardo in giro: il campeggio è semivuoto. «Ma scusi, la crisi voi non la sentite?». «E be’ sì…, negli ultimi anni sì. Magari un paio di cartelli ora che ci penso, conviene metterli…» Ometto di scrivere l’improperio che mi è sorto spontaneo…! Da Lavagna raggiungiamo in breve Chiavari. La bicicletta di Simona diffonde rumori sinistri provenienti dalla ruota posteriore. Tiriamo giù i bagagli per vedere se si tratta di qualche cinghia o passante che tocca da qualche parte. Nulla di tutto ciò. A quel punto Daniele sentenzia: si tratta dei raggi. Ed in effetti i raggi della ruota posteriore sono allentati e, con il peso delle borse, tendono a muoversi e quindi a gemere. Non resta che cercare un negozio di ciclista per farli mettere a posto. Ne troviamo uno lungo la strada, ma ci “rimbalza” perché ha troppo da fare. Ci indirizza però da un suo collega, e qui finalmente troviamo il nostro uomo. Questi si accorge subito che i raggi sono montati male e in poco più di un’ora rimette in sesto non solo le ruote della bicicletta di Simona, ma - già che ci siamo - anche quelle della bicicletta di Daniele. E per un prezzo da amico. Amico, a cui è stato raccontato del viaggio intorno al Mondo: ovvero il passepartout che apre tutte le porte. E dunque si riparte: affrontiamo la salita che porta al Santuario, e poi giù verso Zoagli e ancora, dopo Rapallo, la salita a Ruta. Da questa parte l’ascesa è più lunga, ma decisamente più abbordabile, e così senza quasi accorgercene siamo in cima. Sosta pranzo con negli occhi il panorama del mare di Camogli.

Nel pomeriggio, siamo a Genova. Nella caotica e per niente a misura di bicicletta Genova. Ci fermiamo presso i giardini delle “Caravelle” per riprendere fiato. Qui ci raggiunge uno dei tanti “follewer” che segue le gesta dei nostri eroi. Si chiama Alessandro ed è un tipo assai originale: anche lui amante della bicicletta - ci ha raggiunto con un modello pieghevole - ha in programma un viaggio da Genova a Istanbul in autunno. Alessandro ascolta le storie di Daniele e Simona quasi in estasi; il sorriso è sospeso, gli occhi s’illuminano all’udire tante e tali meraviglie. Questi due viaggiatori gettano incantesimi tutto intorno a loro, e fanno sognare le anime nobili…! Nel giro di qualche minuto ci raggiunge un giornalista del quotidiano La Repubblica: intervista, servizio fotografico e pubblicazione dell’articolo quasi in tempo reale sul sito del giornale. Più trascorro il tempo con Simona e Daniele, più assisto a delle manifestazioni umane di stima, affetto e trasporto che mi lasciano sbalordito: sui social network la gente scrive: “Vi abbiamo visto passare da Chiavari. Siete grandi ragazzi…”; per strada le persone ci fermano e ci chiedono: “Siete voi che fate il giro del Mondo in bicicletta?”. Altri offrono ospitalità. Un grande abbraccio di solidarietà sembra stringersi attorno a loro mano a mano che il viaggio prosegue. Lorenzo ed io siamo senza parole, e se non provassimo grande affetto per loro, ci sarebbe da “rosicare” tutta la vita. A questo punto, visto che accamparsi con la tenda a Genova non è fattibile, né consigliabile, non ci resta che trovare un posto dove dormire questa notte. C’è un ostello sulle colline che ha disponibilità; ma a noi piacerebbe restare in centro. Anche perché questa sera ci sono altri amici che vogliono conoscere le celebrità. Un altro ostello, poco distante dai giardini delle “Caravelle”, ha solo due posti disponibili. Io mi arrendo subito. Simona e Daniele invece, dicono che se andiamo a parlare di persona con i gestori…, forse che forse si trova un accomodamento! Ed in effetti, l’accomodamento salta fuori. D’altra parte se parti per un viaggio di quattro anni…, devi pure affinare queste capacità di “dialogo”. Luca e Betta, i titolari dell’ostello, come d’altra parte tutti coloro che vengono a conoscenza di questa storia, rimangono estasiati e vogliono sapere ogni particolare di questa impresa. Daniele e Simona non lesinano le parole: ospitalità gratuita assicurata. In serata cena nel centro storico, in Piazza delle Vigne, e dopocena a spasso per i vicoli.
Il giorno dopo ancora l’incognita meteo. Le previsioni sono catastrofiche e danno pioggia fin dal primo mattino. In realtà scroscia solo nella notte, e già alle sette irrompe il sereno. Salutiamo la dolce Betta e ci avviamo alla volta di Savona. L’uscita da Genova, come sempre, è spaventevole. Fino a Pegli la situazione viabilistica è agghiacciante: lo smog è talmente greve che viene mal di testa e di gola. Sulla strada incontriamo un ciclista che si unisce a noi per qualche chilometro. Costui è il padre di un ragazzo che si era offerto di ospitare Simona e Daniele a casa sua. A Voltri ci fermiamo e il ciclista entra in una panetteria del corso: ne esce dopo qualche attimo con una busta gigante piena di focaccia spolverata con la polenta: specialità del luogo. Facciamo finta di volergliela pagare, ma questi rifiuta decisamente. Al che gli dico: «La prossima volta che sento qualcuno fare ironia sulla tirchieria dei genovesi…»; ma questi m’interrompe subito: «Tu lasciagliela fare…! Io sono di origini calabresi…»
Ad Arenzano facciamo una sosta. Qui la costa comincia ad essere veramente bella. La gente passa e ci guarda. Guarda le biciclette affardellate, si sofferma, scambia una battuta. Una coppia sui cinquant’anni, di Milano, passa, sorride. Poi torna indietro e chiede, s’informa. Daniele e Simona, sempre con il sorriso di chi si schermisce un po’ delle proprie parole, raccontano la loro storia. I due ascoltano quelle parole, sorridono di rimando e poi succede una cosa incredibile: l’uomo si avvicina e li abbraccia. E poi accarezza loro il viso e sorride ancora guardandoli negli occhi. È una scena commovente…! Lorenzo ed io, defilati, ci guardiamo storcendo la bocca di stupore. È difficile credere che tutto ciò sia reale: eppure è ciò che accade sotto i nostri occhi!
A questo punto salutiamo tutti e ripartiamo. Da Arenzano parte una splendida pista ciclabile ricavata dal vecchio tracciato ferroviario dismesso negli anni ’70. Si tratta di una specie di autostrade per le bici che passa a picco sulla scogliera, regalando scorci da favola. Il mare è incredibilmente azzurro, l’acqua cristallina e il cielo è completamente sgombro di nuvole. Lasciamo che Simona e Daniele si godano questo momento e andiamo a controllare gli orari dei treni per il ritorno da Varazze. Ha poco senso per me e Lorenzo proseguire fino a Savona: l’idea iniziale era accompagnare i nostri due amici fino a Cuneo, ma il meteo ha fatto saltare i piani.

E così dopo aver fatto i biglietti, torniamo sui nostri passi fino a ricongiungerci con loro. Simona ha un cerotto sul naso: facendo il bagno ha picchiato contro una roccia. Nulla di grave, per fortuna. Daniele invece si sta godendo gli ultimi momenti di mare. È il primo pomeriggio quando ci muoviamo. Sul lungomare di Varazze ci fermiamo presso un baretto. Un’ultima bibita tutti insieme prima di lasciarci. È un momento triste: mi dispiace distaccarmi da questi due ragazzi. Mi dispiace lasciarli andare da soli verso l’avventura, verso l’ignoto. Tuttavia mi conforta la constatazione che infondo non sono soli: ovunque vadano, ci sarà sempre qualcuno che li segue, che vuole conoscerli, che è ansioso di aprire le porte della propria casa. Un po’ come sta accadendo all’altra straordinaria viaggiatrice che il blog segue, ovvero Darinka Montico (“Dari-Supertrump”) da Baveno: da Palermo a Baveno a piedi (e senza soldi).
Prima di salutarci, e in un momento di estrema serietà e schiettezza dico loro: «Non so se invidiarvi oppure no». Loro sorridono. Perché in effetti, fino a che non si prova cosa vuol dire fare tutto ciò, anche in minima parte, non si può esprimere un giudizio. Da fuori è tutto fantastico, una favola che contempla solo gli aspetti belli del viaggio. Quando invece ci sei dentro, e ti accorgi di tutto ciò che c’è dietro…, be’ a quel punto davvero ti viene da dire: “non so se invidiarvi oppure no”.
Un lungo abbraccio suggella questo saluto.
In bocca al lupo, ragazzi.
E ricordatevi: un cartolina dalla Georgia…!
Ciao.

Nessun commento:

Posta un commento