Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 30 giugno 2014

Il giro del Mondo in bicicletta sta per cominciare...

Simona e Daniele - i due protagonisti del giro del mondo in bicicletta - partiranno da Roma il 12 luglio. Il 20 saranno a Firenze, e il 25 luglio raggiungeranno Piacenza.
La mia idea (che è anche quella di Lorenzo...) è di fare tre-quattro giorni di bicicletta insieme a loro, durante lavvicinamento al primo passo (Col de la Bonette). Il percorso andrà da Piacenza a Cuneo, passando da Voghera e poi da Monferrato e Langhe...! Uno spettacolo indicibile.
Ecco il breve scambio epistolare intercorso tra Simona e me questa mattina:

«Finalmente ultimo giorno di lavoro, da domani potremo dedicarci interamente al viaggio! Per soli 11 giorni però :-P Comunque sono contenta che riusciamo a fare una tratta assieme, mi fa davvero piacere! Portatevi però poche cose, così ve ne lascio un po’ delle mie!»
«Ho detto a Lorenzo che portiamo la tenda. Che dici?»
«Certo anche perché noi saremo in tenda proprio per dormire dove meglio ci capita. Però avvisa anche Lorenzo che non dormiremo in campeggi. Avete anche un fornellino per cucinare?»
«Uhmmm, mi sa di no. Ma tanto andiamo di tonno e simmenthal»
«Hahahahaha ma no, per la sera ci vuole: dai che non costa nulla, uno di quelli da campeggio super leggeri. Mannaggia, se avessi spazio te lo porterei io. Ne ho ben 2 a casa, completi di bombole »
«Simo, dovresti però dirmi, anche molto approssimativamente, quando arriverete verso Piacenza»
«Allora, considera che partiamo da Bagno a Ripoli (vicino Firenze) il 19 luglio; anzi rettifico il 19 siamo ancora lì, quindi penso partiremo il 20. Considera almeno 3 giorni, perché non so se nel mezzo succederà qualcosa »
«Dunque, da Firenze a Piacenza sono c.a. 250 km. Sì, all’incirca 3-4 giorni»
«Facciamo 4. Quindi indicativamente il 24/25 luglio. Lo so è impreciso, ma viaggiare in bicicletta è così»
«Si, lo capisco. Dunque ci teniamo un po’ larghi…»
«Diciamo comunque che potenzialmente il 25 potremmo essere da quelle parti»
«Ok, divulgo la novella. La buona novella...»
«Hahahahaha yes»
«L’altro giorno ho sentito Lorenzo. L’idea è appunto di venire su con voi fino ad Aosta. Sarebbe proprio bello»
«Sìììì…»
«Da Piaceza ad Aosta sono altri 250 c.a. Passate da Aosta, giusto?»
«Aspetta aspetta: il Col de la Bonette è sotto: non passiamo da Aosta, ma da Cuneo»
«Ah, ok…»
«Il primo passo che dobbiamo fare è lì»
«Uh ma che bello: allora si passa dalle Langhe e dal Monferrato…».

Allora amici, pensateci e decidete anche allultimo se vi va di accompagnare sti due matti” per lultimo tratto italiano del loro incredibile viaggio. Tanto non occorre prenotare nulla. Certo ci vuole un po di spirito dadattamento, ma sono sicuro che sarà unesperianza molto ma molto interessante....!

Yanez

Guarda anche: http://www.becycling.net/questi/

mercoledì 25 giugno 2014

Le ciclovie dei navigli (seconda parte)

Camping Il Gabbiano (Golasecca)
Il nostro camping sorge proprio in riva al fiume. O meglio, in riva al lago. E sì perché pare che ci sia messi d’accordo su questo punto: il Ticino comincia a valle del ponte dell’autostrada; tutto ciò che viene prima è già Lago Maggiore. E dunque siamo sulla sponda del Lago Maggiore. Fa caldo e siamo stanchi e sudati. Il fatto poi di trovarsi in località Golasecca, ci fa ancor di più provare un senso di arsura straziante…! Enrico e Lorenzo si buttano giù a collo nel tempo di un “amen” due birre bionde ghiacciate. Cristina e Giovanna invece preferiscono andare subito in doccia. Unico io, mi concedo un bagno rigenerante nella piscina del campeggio a quell’ora completamente deserta: una goduria senza eguali…!
A sera niente bici: a Enrico dolgono le protuberanze ischiatiche, ovvero il culo…! Per cui per raggiungere Sesto Calende ci dilettiamo in una lunga passeggiata rilassante in riva al lago. Cena sulla piazzetta, vista lago nel lento incedere del crepuscolo; quattro passi da perfetti turisti e al rientro è già tardi: tutti a nanna.
La notte nel bungalow trascorre tranquilla: perfino Enrico (soprannominato per contrappasso “Il Silenzioso”) ci fa la grazia di non russare. La mattinata è fresca e con le biciclette torniamo a Sesto Calende per colazione. Poi, senza fretta, raggiungiamo il campeggio, ritiriamo i bagagli, saldiamo il conto e partiamo.
 
Il primo tratto di strada è lo stesso percorso il giorno prima, ma a ritroso, vale a dire fino alla diga del Panperduto. Da qui l’idea sarebbe di prendere la ciclabile del Canale Villoresi e percorrerla fin dove è possibile. Le informazioni che abbiamo però sono vaghe e discordanti. Proviamo a cercare la via, ma non ci sono indicazioni. Fermiamo a quel punto un ciclista e chiediamo lumi. Ma anche questi non ne sa molto: l’unica cosa che sa dirci per certo è che dobbiamo intercettare il Villoresi a Castano Primo, vale a dire un bel pezzo in giù, quando il canale ha già deviato verso est. Non avendo alternativa gli diamo retta e, seguendo il Canale Industriale, raggiungiamo la deviazione. Una volta giunti in città, ci affidiamo nuovamente allo straordinario senso dell’orientamento di Enrico, e in un battibaleno troviamo il Villoresi.

Diga del Panperduto - Canale Villoresi
Questo canale, costruito sul finire dell’800 a scopo irriguo, corre a nord di Milano per 86 chilometri, e termina la sua corsa nell’Adda con un andamento ovest-est. Nelle mie intenzioni vi era dunque l’idea di percorrerlo tutto fino a raggiungere l’automobile parcheggiata a Cassano. Lorenzo ed Enrico invece, sarebbero usciti prima, ovvero a Monza, da cui facilmente avrebbero raggiunto casa. Ma appunto non abbiamo certezze, e si “naviga a vista”. Lasciata alle spalle Castano Primo, il Villoresi prosegue la sua corsa in aperta campagna. L’acqua, sebbene il suo defluire sia a tratti impercettibile, è incredibilmente limpida e ha un colore invitante. Di tanto in tanto si trovano chiuse e prese d’acqua, denominate “bocche”, grazie alle quali è possibile irrigare i campi di frumento, mais e cereali. Non di rado incrociamo comitive di giovani e meno giovani radunati intorno a questi luoghi gratuiti del refrigerio.
Superiamo Buscate, Arconate, Busto Garolfo; entriamo quindi nel Parco del Roccolo, nel quale si alternano campi coltivati e boschi di querce e robinie. Il fondo stradale ora è stretto e in terra battuta, e si pedala quasi costantemente all’ombra. Il che è un gran piacere dato che il caldo è molto intenso.
È ormai ora di pranzo e sono già scolati via una cinquantina di chilometri. Lo stomaco reclama la sua parte. Abbandoniamo dunque la ciclabile ed usciamo a Villastanza di Parabiago. E quasi per caso, c’imbattiamo in uno splendido “ristorante - specialità pesce”. Ci sediamo sotto un pergolato fresco e ombreggiato e ordiniamo di tutto di più: paccheri allo scoglio, grigliata mista, strozzaprete tonno e olive, polpo in umido…! Il tutto ben innaffiato da birra e panaché a volontà.
 
Dopo una mangiata luculliana di questa portata è dura riprendere a pedalare: dobbiamo tuttavia tornare a casa, in una maniera o nell’altra…! E così riprendiamo la ciclabile. Pochi chilometri e siamo a Nerviano; ancora più in là c’è Lainate. Uno sguardo buttato per caso sulla destra, ed ecco apparire come in un sogno la splendida facciata di Villa (Visconti Borromeo Arese) Litta. La magia della bicicletta è anche questa. Se avessimo tempo ci sarebbe da dare un’occhiata approfondita a questo meraviglioso esempio di architettura rinascimentale lombarda (i giardini all’inglese e il ninfeo pare che siano straordinari). Purtroppo però l’orologio corre. Così come corrono Lorenzo, Cristina ed Enrico che hanno lasciato Giovanna e me indietro. Raggiungiamo quindi Arese, e a seguire siamo a Garbagnate Milanese. Giovanna e Cristina si fermano qui. O meglio prendono il passante ferroviario e tornano verso casa. D’altra parte per loro non ha senso proseguire per poi tornare indietro. Le accompagniamo alla stazione e, una volta accertato che non v’è pericolo alcuno, riprendiamo il cammino.
 
Canale Villoresi presso Garbagnate M.
Il Villoresi prosegue al di là della ferrovia, e dunque siamo costretti a transitare per il sottopasso. Anche qui purtroppo nessuna indicazione: sopperisce a tale carenza la solidarietà tra ciclisti. Subito al di là della ferrovia si apre una scena da anni ’50: decine di persone, perlopiù giovani, affollano le sponde del Villoresi, improvvisando pic-nic sull’erba e grigliate alla buona; qualcuno, tra brividi e gridolini fa anche il bagno nelle acque fredde del canale. Questi novelli protagonisti da remake Poveri ma belli, non paiono italiani, ma piuttosto sudamericani e slavi. E sono pieni di entusiasmo e voglia di vivere. Renato Salvatori e Maurizio Arena facevano il bagno nel Tevere; questi ragazzi nel Villoresi: sa di antico, e quindi di buono, questo rito delle vacanze economiche lungo i corsi d’acqua, e mi lascia più di un sorriso sulle labbra.
Continuando incontriamo Senago, con la sua stupenda Villa Visconti; e a seguire Varedo, con l’altrettanto meravigliosa Villa Bagatti Valsecchi, cui fa da proscenio un ampio e lunghissimo viale alberato. Evidentemente un tempo questi erano posti di villeggiatura, luoghi salubri, immersi nella tranquillità della campagna. La stessa cosa non la si può dire oggi: basta infatti abbandonare l’oasi che si allunga intorno al Villoresi per rendersi conto che siamo in uno dei contesti più urbanizzati e industrializzati della Lombardia. E quindi del Mondo.
Proseguendo lungo la nostra strada, incontriamo Nova Milanese e finalmente troviamo un punto di ristoro per placare la nostra tremenda arsura: un gazebo tirato su da ex-alpini per reperire fondi a favore dell’ANA (Associazione Nazionale Alpini). Enrico si tira giù l’ennesima birra.

Canale Villoresi presso Monza
L’ultimo tratto di ciclabile, quello che transita per Muggiò e giunge a Monza, è quasi costantemente all’ombra. Giunti nella cittadina brianzola le nostre strade si dividono: Enrico e Lorenzo si dirigono verso il Parco di Monza, quindi Arcore e poi Usmate; io devo cercare una via per raggiungere Cassano d’Adda. Al di là del trafficatissimo viale Lombardia, ritrovo la ciclabile che costeggia il Villoresi. Il corso d’acqua è ormai ridotto ad una portata infima rispetto a quando l’abbiamo visto nascere alla diga del Panperduto. Nel suo lento defluire ha ceduto quasi tutta la sua acqua per irrigare la pianura a nord di Milano. Sono contento che la ciclabile continui: i profeti di sventura sembrano essere stati smentiti. Purtroppo però l’illusione che la via prosegua fino a destinazione s’infrange quasi subito: il Villoresi, nei pressi del cimitero, ovvero nella periferia est di Monza, compie un salto e da quel momento in poi non c’è più verso di seguirlo. Mi occorre la mappa per capire cosa fare. La soluzione più logica è quella di tornare sul Naviglio Martesana. Il più in fretta possibile. E così attraverso Brugherio, Carugate e raggiungo Cernusco sul Naviglio. C’è poco traffico essendo domenica: mi è andata di lusso. Una volta qui, attraverso un bel parco pubblico e in breve sono nuovamente sulla ciclabile della Martesana. Ancora una mezzoretta di strada e sono a Cassano d’Adda: il contachilometri segna 116.

Ciao, alla prossima.

martedì 24 giugno 2014

Le ciclovie dei navigli (prima parte)

Naviglio Martesana presso Gorgonzola
Dunque, dove eravamo rimasti?
Sì lo so, non si comincia mai una pagina col “dunque”, ma qui non si tratta né di una nuova pagina né di una nuova storia: qui si tratta di riallacciare un discorso iniziato l’anno scorso, pressappoco di questo periodo. In quel tempo, avevamo portato a compimento un bel progetto in bicicletta, vale a dire una lunga pedalata seguendo le alzaie dei navigli di Milano e di Pavia: circa duecento chilometri di libertà totale in due giorni. Partiti da Cassano d’Adda, avevamo percorso tutta la Martesana, ed una volta giunti a Milano (impagabile la sensazione che si prova a giungere fin sul sagrato del Duomo in bicicletta…), avevamo proseguito lungo il Naviglio Grande; e a seguire lungo il Naviglio di Bereguardo. Pavia era stato il luogo più lontano raggiunto. Il giorno seguente si era fatto ritorno a Milano seguendo il corso del Naviglio Pavese. Alla fine di questa bella avventura, tanta era stata la soddisfazione che era sorto immediato un pensiero: “Ma perché non ripetiamo l’esperienza, magari concludendo ciò che ci manca da vedere ancora”. Ed in effetti ce n’era ancora da vedere: giunti ad Abbiategrasso infatti, avevamo piegato verso sud per raggiungere Pavia; ma se, al contrario, avessimo proseguito verso nord? La meta ultima sarebbe stata Sesto Calende, vale a dire il Lago Maggiore. E così già da questa primavera avevo cominciato a stendere un programma di massima con date, percorsi e luoghi di appoggio in cui pernottare. Il blog a fare cassa di risonanza. Come per l’altr’anno, anche sta volta l’impresa si sarebbe svolta subito dopo l’immancabile “biciclettata di Rimini”.
E dunque, raccolte le adesioni (identiche a quelle dell’anno precedente, salvo l’assenza di Elena, sostituita da Cristina) si è deciso il partire sabato 21 giugno. Cinque “matti” in bicicletta alla scoperta delle vie d’acqua del milanese.
Come l’anno scorso mi sono recato in automobile a Cassano d’Adda e, da qui, ho inforcato la mia Bianchi Kuma 4600 appena revisionata (catena, freni, mozzo della trasmissione, copertoni etc…) e mi sono avviato lungo le sponde deserte del Naviglio Martesana. L’appuntamento alle dieci presso la Darsena di Milano. L’aria fresca del primo mattino, impregnata di effluvi fluviali e umidità (l’Adda è poco più in là…) mi ha regalato subito sensazioni inebrianti. In questo tratto iniziale il Naviglio della Martesana è ampio, veloce e le sue acque sono limpide: ben altra cosa rispetto al tratto finale, là dove termina la sua corsa per infossarsi nei pressi del quartiere “Greco”, in viale Melchiorre Gioia. Inzago, Bellinzago, Gorgonzola, Cernusco sul Naviglio, Vimodrone, i paesi si susseguono velocemente sotto le gomme che viaggiano ai 22 km./h di media. Di tanto in tanto mi fermo a scattare qualche foto, ma la luce non è delle migliori a causa di un cielo ampiamente coperto di nuvole. Oltretutto sono un pessimo fotografo, e dunque decido di non perdere altro tempo.
Più mi avvicino a Milano più il paesaggio, caratterizzato in precedenza da campagna aperta, campi coltivati, rogge, chiuse e marcite, lascia spazio ad un’urbanizzazione sempre più opprimente e invasiva. Al confine tra Cologno Monzese e Sesto San Giovanni (il mio amato luogo natio…), la ciclabile supera il Lambro e subito dopo incontra Crescenzago. Ormai siamo alle porte di Milano: Gorla, Turro, Cassina de’ Pomm. Fine. E già, è proprio così: l’avventura della Martesana finisce all’improvviso, con un colpo di scena che lascia sbigottiti; sbarrata da una grata metallica che raccoglie immondizia e bottiglie di plastica, e infossata sotto il manto stradale su cui sfrecciano veicoli a motore rumorosi e inquinanti. E là dove un tempo il naviglio attraversava la parte orientale di Milano, per andare a gettarsi nella conca di San Marco - da cui poi si collegava con la cerchia interna - oggi c’è solo asfalto e smog.
E dunque, per raggiungere i compagni di viaggio che mi attendono alla Darsena, sono costretto ad attraversare la città tra auto e mezzi pesanti. Supero i Bastioni di Porta Venezia - l’antica Porta Orientale da cui transitò Renzo dei Promessi Sposi - e in breve sono all’incrocio di via Senato. Un’occhiata alla sede stradale: anche in questo luogo un tempo scorreva l’acqua. Ed era uno dei tratti più caratteristici della Milano medievale. Oggi è tutto chiuso, ricoperto, infossato: chissà quanti milanesi sono al corrente di questo scempio…!

San Babila, Corso Vittorio Emanuele, Piazza Duomo. Arrivare direttamente sul sagrato del Duomo con la bicicletta è una sensazione impagabile e mi fa sentire orgoglioso di essere un appassionato delle due ruote.
Da qui seguo via Torino (con il suo terrificante acciottolato) e, dopo aver superato Porta Ticinese e il Parco delle Basiliche, sono alla Darsena. Qui m’incontro con gli altri: Cristina come al solito è supersportiva e viaggia leggera (solo uno zainetto sulle spalle); ed è l’unica che responsabilmente indossa il caschetto. Giovanna invece si presenta con un bagaglio monumentale, una sorta di mammut del cretaceo inferiore avvinghiato dietro la sella: due enormi borse laterali legate sul portapacchi, più un bauletto panciuto che sovrasta il tutto. La mia amica Simona, che a breve partirà per il giro del mondo in bicicletta (quattro anni in viaggio, per centomila chilometri), porterà con se meno della metà della sua roba…! E alla domanda: «Ma Giovanna, cosa ti sei portata appresso…?!?». Risposta: «E be’, il minimo indispensabile…».
Completano il quintetto Enrico, che inforca una bici da passeggio un po’ datata e cigolante, e Lorenzo. Lorenzo non si è neanche fatto la barba: vergogna!
E così, dopo una breve sosta presso un bistrot affacciato sull’alzaia, si parte. Ci lasciamo alle spalle Milano e c’immergiamo nella campagna. Lungo la ciclabile del Naviglio Grande ci sono tanti ciclisti e altrettanti pedoni, e si fa fatica a districarsi. Occorre oltrepassare Corsico per aver strada libera. Nelle acque che corrono placide verso la metropoli ci sono diversi canoisti che si dilettano a scendere e risalire la corrente. Superiamo Trezzano, Gaggiano e in poco più di un’ora di pedalata siamo ad Abbiategrasso. Qui si dipartono due vie d’acqua: a sud si va verso Pavia; a nord verso il Lago Maggiore. Seguiamo la seconda. O meglio, cerchiamo di seguire. E già perché le indicazioni sono del tutto assenti e per poco non finiamo sulla tangenziale. Per fortuna abbiamo con noi Enrico, esperto escursionista della “domenica”, nonché ex-ufficiale degli Alpini: e così, in quattro e quattr’otto, eccoci nuovamente sull’alzaia del Naviglio Grande. Direzione Sesto Calende. Più ci allontaniamo da Milano, più il corso d’acqua s’ingrossa e si fa pulito. Robecco, Boffalora, Castelletto, Cuggiono, più si va in là e più si respira e ci s’inebria di questo senso di libertà, associato al piacere di fare sport immersi nella natura. Lungo le sponde del naviglio si susseguono paesaggi bucolici, alternati a sontuose residenze aristocratiche, come la secentesca Villa Birago Clari. È un piacere continuo e sempre diverso per lo sguardo. E dunque, senza quasi accorgercene, siamo a Turbigo. In lontananza la centrale termoelettrica dell’Enel. 

Naviglio Grande presso Trezzano
È ora di pranzo ed Enrico reclama a gran voce la sosta, meglio se presso una trattoria. Detto fatto. Direttamente sulla sponda del naviglio, ci accomodiamo all’aperto e consumiamo un pranzo con i fiocchi e controfiocchi. Enrico si fa pure la fritturina di alborelle. Primo pomeriggio, si riparte. Proseguendo lungo la ciclabile incrociamo un corso d’acqua che sottopassa il Naviglio Grande: si tratta del Canale Industriale. Poco più a monte infatti, il tracciato originale del naviglio perde portata, a tutto vantaggio del più recente Industriale, che raccoglie la gran parte delle acque derivanti da Ticino. Dopo un breve consulto, e qualche domanda ad un ciclista che fa il tragitto inverso al nostro, decidiamo di seguire la sterrata che s’inoltra lungo il percorso originale. E qui c’immergiamo veramente nella natura selvaggia: vegetazione rigogliosa, lanche semipaludose, acque basse e stagnanti, boschi. E a popolare tutto questo paesaggio, uccelli acquatici di ogni ordine e grado, lepri, bisce d’acqua dolce. Un vero paradiso terrestre. Poi, all’improvviso, preceduto dall’odore inconfondibile di fiume, ecco spuntare il Ticino. Siamo nei pressi di Oleggio. Sulle sue sponde bagnanti festosi e vocianti si rinfrescano in questa calda giornata. La sterrata che costeggia il tratto originario del Naviglio Grande si perde nel nulla e così siamo costretti a superare, bici in spalla, un orrendo ponte scalinato. Dall’altra parte il Canale Industriale. Ancora qualche chilometro e siamo alla famosa diga del “Panperduto”, località Maddalena (frazione di Somma Lombardo). Davanti a noi un’opera idraulica impressionante: un bacino enorme raccoglie parte delle acque provenienti dal Ticino e le smista in un fragoroso caos sensoriale: da una parte, come detto, il Canale Industriale (che serve al funzionamento delle centrali idroelettriche di Vizzola, Tornavento e Turbigo); dall’altra il Canale Villoresi. Il perché della definizione “Panperduto” ce lo fornisce un pescatore cui Enrico chiede informazioni. Pare che in epoca medievale il Ticino, in questo tratto del suo alveo, avesse un carattere estremamente ribelle e torrentizio e che dunque gli abitanti del luogo sentissero forte la necessità di regolamentare le sue acque attraverso una diga. Ci provarono, ma dopo averci speso una montagna di quattrini, rinunciarono al progetto. Dal che “Panperduto”…! La diga che vediamo oggi invece - e che per l’esattezza si chiama diga del Consorzio del Canale Villoresi - , venne costruita alla fine dell’800 e venne realizzata per alimentare il Canale Industriale e il Villoresi.
 
E dunque ripartiamo per l’ultimo tratto della nostra pedalata: ora la strada segue il corso del Ticino. Abbandoniamo l’asfalto e per qualche chilometro continuiamo lungo il sentiero E1, il tracciato europeo che unisce Capo Nord (Norvegia) a Capo Passero (Sicilia). Ancora qualche chilometro di strada ed eccoci a Golasecca (Sesto Calende): arrivo. Il contachilometri segna 110 [continua…]

venerdì 20 giugno 2014

Compagni di scuola…

Compagni di scuola, Italia 1988
L’altra sera ero in chat con alcuni ex-compagni delle scuole medie. Capita di tanto in tanto, diciamo a distanza di quattro cinque anni, di sentire l’esigenza di ritrovarsi, di ricontarsi. Così accadde l’ultima volta. E così come l’ultima volta, e ancor più oggi, capita di fare dell’ironia sugli anni che passano e su quanto stiamo “invecchiando”. Ed il confronto con il bellissimo film di Carlo Verdone, “Compagni di scuola” si fa sempre più attuale («È tremendo, è da denuncia! Uno nun se pò presenta’ ridotto così… Deve manna’ ‘n certificato… ma d’ufficio d’igiene però!» - «Ma quali strafiche? Ma quali strafiche? Quali? Ma se erano orribili all’epoca del liceo, pensa adesso che so’ diventate queste no?» - «Ho sbagliato festa! Ho sbagliato villa… Infatti me coincideva tutto: er cancello, er chiosco, er vialetto… Solo che quando so’ entrato m’è preso un colpo, perché ho visto ducento teste bianche, tutti vecchi, co’ e rughe in faccia… me so’ detto: ammazza come ce siamo ridotti!» - «Tu c’hai avuto un crollo dall’ottavo grado della scala Mercalli: guarda com’eri, guardati come sei: me pari tu’ zio!» - «Ma uno così se porta a una festa? Se porta in rianimazione»).
Insomma i dialoghi in chat erano tutti più o meno su questa falsariga. Qualcuno addirittura, e con un anticipo francamente esagerato, si è spinto fino a chiedere lumi su possibili “residence anni azzurri” o sistemazioni similari. Nessuno peraltro ha parlato di reumatismi o problemi d’incontinenza: il che è già un sollievo.
E così, mentre tra il serio e il faceto, si disquisiva allegramente, Carlo, che ci tiene a far vedere che lui gli anni non li dimostra, se n’è uscito con un simpatico aneddoto (anzi due): «La scorsa settimana ero a cena con dei colleghi. Era il mio compleanno. E alla cameriera ho detto che avevo 27 anni. E ci ha creduto…! E poi, sentite quest’altra: andiamo a Roma con degli amici a vedere gli Internazionali di tennis. Prenoto un appartamento a Trastevere e il tizio che viene a portarci le chiavi mi fa: “Fumagalli? Ma sei del ’72? Ma li mortacci tua… che t’hanno imbarzamato???». IMBARZAMATO
Per la serie: perché accontentarsi di sentirsi giovani solo dentro???

The road not taken (la strada non presa)

Foto di Davide Zanellato
 
Two roads diverged in a yellow wood
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I -
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
 
(Robert L. Frost, 1874 - 1963)
 
Divergevano due strade in un bosco ingiallito,
E spiacente di non poterle fare entrambe
Uno io restando, a lungo mi fermai
Una di esse finché potevo scrutando
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.
 
Poi presi l’altra, così com’era,
Che aveva forse i titoli migliori,
Perché era erbosa e non portava segni;
Benché, in fondo, il passar della gente
Le avesse invero segnate più o meno lo stesso,
 
Perché nessuna in quella mattina mostrava
Sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.
 
Lo dovrò dire questo con un sospiro
In qualche posto fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco, ed io…
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.
 
(Traduzione di Giovanni Giudici)

lunedì 16 giugno 2014

Esistono le fate? Esistono, esistono…

Sonno tremendo, maledico la cena di ieri sera e mi avvio torbido verso la Stazione di Morbegno, dove c’è un treno che parte alle 7.40…, pardon, alle 6.58 e mi porta in Centrale per la coincidenza per Napoli. E lei è lì, ferma davanti al binario uno, là dove sono solito salire sui vagoni di testa… E la testa mi gira, 90-95 gradi mentre le passo davanti, una nuvola dorata, luminosa, un incarnato chiaro come l’alba da poco creata, la prima alba dell’Uomo, stupito e sorpreso… Mi giro ancora a guardarla, e quasi mi sembra che anch’ella volga lo sguardo verso di me (ah, beate illusioni) poi salgo i tre scalini e lei è dietro di me, e quando mi fermo al sedile di sinistra mi accorgo che lei si è fermata a quello di destra; solo il corridoio ci separa. Mai viaggio fu più sofferto, novello alunno inginocchiato sui ceci sposto il mio peso/sguardo per spiare il suo viso, le sue mani, i suoi piedi - dorati anch’essi - calzati da un paio di sandali hippie… E già, perché nella scansione successiva mi accorgo che la sua elegante figura è in realtà vestuta in perfetto stile alternativo, sandali da frate, jeans marroni moooolto aderenti, camiciola di cotonina marrone appena decorata da bianchi fiorellini vezzosi e sopra a tutto (e soprattutto) una candida sciarpa di cotone indiano, che userà poi, a guisa di scialle, per avvolgere le morbide spalle nell’abbraccio del sonno che l’accoglie tra Calolziocorte e Monza Sobborghi. Nei pressi di Milano Centrale i suoi occhi si riaprono, ed è come quando gli aironi dispiegano le immense ali, lente, morbide e flessuose, e una lama di sole incendia la sua pupilla azzurra, come l’acqua dei torrenti che scorrono tra gli asfodeli delle sue virginee valli. Incantato, stupito, mi attardo alla discesa, proprio come lei che lascia fluire - granelli di rena fra le dita - gli ultimi frettolosi pendolari… Siamo soli, ora, afferro il trolley dalla cappelliera, poi la guardo ancora - in piedi davanti a me - e finalmente le parole fluiscono, troppo a lungo represse:
«È sempre in orario questo treno?»
«Be’ dipende…» mi risponde (e la sua voce è come il vento quando a primavera porta il suono di mille campanellini d’argento)… «qualche volta ritarda un po’…»
«Già - faccio io scuotendomi dall’estasi - meglio partire un’ora prima, però che sonno la mattina…»
«È vero…» - mi sorride complice, ed è come se ci fossimo risvegliati insieme.
«Buona giornata» le dico in un soffio.
«Grazie… arrivederci..!» mi rispondono le sue labbra mentre scendo dal Locale 2576, col cuore pieno di felicità…

Salvo

Cercasi disperatamente alternativa all’urlo “Forza Italia”

Foto: www.adnkronos.com
È più forte di me, ogni volta che si avvicinano i Campionati mondiali di calcio, mi trovo a pensare: «Uh che barba…, che noia…! Non li guardo…, deciso». Perché ragiono così? Ma perché sono uno snob formidabile, una sorta di radical-chic con tendenze sempre più blandamente destrorse, e dunque tutto ciò che sà di plebaglia e nazional-popolare mi aborre…! Come direbbe quel tale che esce in tv con gli occhiali bianchi e i capelli arruffati. Tutto ciò in apparenza, naturalmente…! Perché in fondo mi piace di pensare che sono diverso dagli altri, e forse anche migliore, ma alla prova pratica dei fatti, sono tra gli individui più beceramente ordinari e comuni che esistano in natura. Se fino ad un secondo prima ero lì a sputare sentenze velenose sul mondo del calcio e sui milionari in brachini corti, mi basta sentire anche da lontanissimo le prime note dell’inno nazionale, perché in me si operi una portentosa trasformazione da Dottor Jekill e Mr. Hyde. E così puntualmente è accaduto per la prima partita dell’Italia contro l’Inghilterra (2-1 per i nostri) ai campionati brasiliani. Provenivo da un periodo orrendamente anti-calcistico (complici anche le spaventevoli amichevoli giocate dalla nazionale nelle settimane precedenti) ed ero sul punto di spegnere la tele: la partita cominciava a mezzanotte per via del fuso orario. Quand’ecco un primo pensiero farsi largo sinuosamente come una biscia d’acqua dolce: «Cià, guardo solo le formazioni e poi spengo». E a seguire: «Ma sì, l’inno nazionale lo sento e poi…».
Com’è andata a finire? Alla Fantozzi: “Calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle per la quale andava pazzo, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero!”.
Al gol di Marchisio ho svegliato l’intero vicinato con un urlo spaventevole…! A quello di Balotelli… be’, meglio che non ve lo dica: potreste impressionarvi…!

In bocca al lupo, AZZURRI

Corruzione...

“Al momento la sola opera pubblica non interessata da episodi di corruzione rimane il tunnel della Gelmini” (www.spinoza.it)

mercoledì 11 giugno 2014

Rimini 2014: perché la tradizione è tradizione…!

E così, come da programma, siamo partiti venerdì mattina. Sul treno regionale (veloce per modo di dire…) c’erano Alessandra, Salvatore ed il mitico Leonardo. Lorenzo, per un problema dell’ultimo minuto, ha dovuto disertare l’appuntamento mattutino e ci ha raggiunto in serata. Io naturalmente, essendo di strada, sono salito a Lodi: 20 km. tanto per sgranchire un po’ le gambette. La carrozza per il trasporto bici si trovava in testa al treno, ed era quasi completamente vuota. A parte la mia bici, e quella di Alessandra, ce n’erano ancora un paio. Salvo e Leonardo, del resto si erano già da tempo dichiarati bike-free: ed in fondo questo appuntamento si chiama sì “Biciclettata di Rimini”, ma la bici è anche un pretesto per ritrovarsi…! E Rimini offre molto altro a parte la bici…, soprattutto in questa bella stagione.
A Piacenza si cambia: altro regionale abilitato al trasporto bici. A bordo, tra gli altri passeggeri, troviamo un tizio che accompagna una ragazza cieca con un cane al guinzaglio. Sono padre e figlia. Ci chiede quanto manca per Forlì. E noi disgraziati…, gli rispondiamo. In effetti costui si rivelerà una delle persone più logorroiche che esperienza umana ricordi. Tra le altre cose ci racconta delle qualità canore della figlia, e delle sue molte partecipazioni a programmi televisivi e concorsi per “nuove voci”. Cerco a più riprese di dialogare con la ragazza, che peraltro è anche molto carina, ma il padre si mette sempre di mezzo. Per fortuna Forlì arriva presto, e noialtri ripiombiamo nel nostro torpore soporoso da tradotta militare.
A Rimini scendono Salvatore e Leonardo. Alessandra ed io proseguiamo fino a Pesaro. Una volta giunti nella cittadina marchigiana, scendiamo anche noi e dopo aver raggiunto la zona portuale, attacchiamo la salita che ci condurrà alla “panoramica” per Gabicce. La strada è pressoché deserta e noi affrontiamo le prime rampe con grande scioltezza. La salita prosegue per circa tre quattro chilometri e, una volta giunti in quota, cominciano ad aprirsi scorci panoramici che spaziano su tutta la riviera. Siamo ormai nel Parco Naturale del Monte di San Bartolomeo e l’ombra delle piante d’alto fusto ci ripara dal sole impietoso del primo pomeriggio. È il primo fine settimana di clima veramente estivo, e come al solito ci scopriamo ad aver scelto la settimana migliore per fare la nostra scorribanda al mare.
Terminata la salita dura, si susseguono una serie di saliscendi che accompagnano il profilo della costa: il mare è azzurro, in cielo non c’è nemmeno una nuvola e, sulla scogliera verdeggiante, spunta qua e là e il giallo intenso delle ginestre. Superiamo un camping - con tanto di piscina - , un ristorante elegante e, senza accorgercene, siamo già a Fiorenzuola di Focara, un bel borgo medievale arroccato su di uno sperone roccioso a picco sul mare. Alessandra durante un tratto di discesa inghiotte pure un pappatacio bel grosso…, e rischia per un istante il soffocamento. Mi tocca rincuorarla: “Ma sì dai…, sono tutte proteine…”. Si prosegue, e dopo aver superato Casteldimezzo, eccoci a Gabicce Monte. Breve sosta sulla terrazza panoramica che guarda verso Rimini, e via verso Gabicce Mare. Sul porto canale ci incontriamo con l’altra Alessandra, quella di Pescara. È un anno esatto che non ci vediamo. È arrivata a Rimini anche lei con treno più bici, ed ora ci è venuta incontro pedalando sul suo nuovissimo velocipede giallo. E così riprendiamo tutti e tre il cammino alla volta dell’albergo. Seguiamo tutto il lungomare, e sotto le nostre ruote sfilano le perle della riviera: Cattolica, Misano, Riccione, Rivazzurra. A Misano ritroviamo Salvo, giunto anch’egli incontro a noi grazie ad una delle biciclette dell’albergo. La passeggiata è quanto di più rilassante si possa immaginare: la brezza che spira allegra dal mare ci recapita fragranze mediterranee che, mescolate a odori di creme solari, profumi di caffè da spiaggia e voci spensierate, fanno tanto “vacanza”. Sarebbe tutto un idillio appunto se Alessandra e le sue borse da bici…, non ci si mettessero di mezzo: scarto improvviso, cinghie non adeguatamente strette e sacca destra che finisce nei raggi della ruota posteriore. Rumore di pantaloni orrendamente strappati e sbrego di venticinque centimetri. Quando il contachilometri della mia mountain-bike segna 50 esatti, entriamo a Marina Centro di Rimini: siamo arrivati.
Dopo una doccia più che necessaria e opportuna, diamo il via a uno dei riti più attesi: vale a dire l’aperitivo in spiaggia. Si cerca un locale che faccia alla bisogna, ma inevitabilmente, e quasi inconsciamente, ci avviciniamo al “Tripoli”, il ristorante prenotato per questa sera: evidentemente la fame comincia a farsi sentire. Qui ci offrono un cocktail di benvenuto, ed ovviamente non lo rifiutiamo. L’unica è l’Ale che, rigorosa e tradizionalista fino all’estremo, pretende uno spritz. Ed è così che ci si trova con gli altri (Sara, Giulia, Elena, Alfio, Lorenzo, Walter, Umberto) intorno alla tavolata. Siamo in dodici - novelli apostoli della riviera - e proveniamo da tutta Italia: Friuli, Lombardia, Veneto, Emilia, Abruzzo, Lazio. Amicizie nate spesso per caso e saldate nel tempo dalla passione per tutto ciò che metaforicamente rappresenta la “Biciclettata di Rimini”. La cena è ottima, soprattutto per quanto riguarda gli antipasti e i primi, e si prolunga fin oltre mezzanotte. È tardi, tutti a nanna: domani si pedala.

Il mattino successivo il gruppo si divide: otto inforcano la bicicletta e partono; gli altri - i più saggi - si dedicano alla vita da spiaggia. La ciclabile del Marecchia ormai è un appuntamento fisso: molti di noi l’hanno già percorsa in lungo e in largo, e a più riprese, ma c’è sempre qualche nuovo arrivato (tipo quest’anno Giulia) che non l’ha sperimentata. E così, fintanto che ci sarà ogni anno qualcuno di nuovo aggiunto al gruppo, è destino che si debba percorrerla. D’altra parte la strada è proprio bella - immersa così com’è nella naturale bellezza del corso del fiume - che non è grosso sacrificio pedalare ancora sulla sua terra battuta. Dopo circa venti chilometri altro appuntamento fisso: sosta presso il Parco di Villa Verrucchio, con immancabile battaglia intorno alla fontanella: quest’anno doccia quasi integrale per Alfio.
Abbandonata la ciclabile si prosegue sulla provinciale, fino alla rotonda: a destra si va verso Santarcangelo di Romagna; diritto c’è San Marino; a sinistra Verrucchio. Si sale tutti a Verrucchio (d’altra parte anche questa salitella fa parte della tradizione consolidata…). Sosta pranzo a base di frutta fresca: pesche, albicocche e ciliegie.
Oggi fa molto caldo, ma ormai è deciso: si prosegue per San Marino. Il gruppo si sgrana ulteriormente: degli otto iniziali restiamo in cinque. Gli altri ripiegano verso Rimini, passando per Santarcangelo. Lorenzo, Alessandra ed io partiamo subito forte nell’iniziale tratto in discesa; Alfio e Sara rimangono attardati. Ad un bivio leggiamo un cartello che indica San Marino e, abbandonata la provinciale, ci buttiamo a capofitto giù in discesa. Ci ritroviamo in un fondovalle profondo dal quale parte una salita spaventevole in terra bianca battuta. Ci guardiamo leggerissimamente preoccupati ed indecisi sul da farsi. Ed è proprio in questo preciso momento che arriva il soccorso insperato: Alfio telefona all’Ale e le dice di tornare su. Non è quella la strada giusta: ovviamente…! La risalita sulla provinciale è qualcosa di inenarrabile: un muro agghiacciante che supera abbondantemente il 20 per cento…! Per superarlo siamo costretti a proseguire zigzagando. Da Gualdicciolo comincia la salita vera verso San Marino. Già dopo un chilometro ecco il primo schiaffone al 18 per cento: sono soli 500 metri, ma valgono per 50 chilometri sotto il sole spietato delle 13. Dopo questa faticaccia la strada spiana, ma solo per poco. Altri tratti al 10, all’11 per cento, si alternano a lunghi rettilinei al 6, 7 per cento. Non me la ricordavo così dura la salita a San Marino…! In tutto sono circa sette chilometri fin su, ma non finiscono mai. Ed io, come al solito, vado in crisi da fame nell’ultimo tratto.
E così, in una maniera o nell’altra, arriviamo in cima. Il centro storico è affollato all’inverosimile di turisti russi, e le strette viuzze che portano alla rocca sommitale sono impraticabili in bicicletta. Eppure, nonostante tutto, Alfio e Alessandra non demordono: per loro la sfida consiste nell’arrivare fin su in vetta senza mettere giù il piede. Persino sull’acciottolato finale che va su come una mulattiera dolomitica. Alfio va, anche al costo di travolgere qualche biondaccia dell’est; l’Ale lo segue imperterrita. Ad una svolta, però, le si para davanti un gruppetto fitto di tartari del Volga. Non c’è più nulla da fare. Piede a terra e sfida persa. Con Alfio che dalla rocca le grida dietro frasi di scherno…! A ripagarsi del trattamento paritetico subito dall’Ale l’anno prima…!
Foto di rito e via verso il ritorno giù dalla statale a tutta velocità: il mare ci attende.
A fine pedalata il contachilometri segna 70: una bella sgambata…! Il pomeriggio si conclude in spiaggia, con il primo bagno della stagione.
 
A sera ci si ritrova nuovamente al “Tripoli”. In verità la seconda cena era programmata in un altro ristorante, ma l’atmosfera vacanziera del “Tripoli”, collocato direttamente sulla spiaggia, ha avuto la meglio…! Questa volta ai dodici di ieri si aggiungono altri cinque “discepoli”: Vichy e Giorgio; Gilberto e Meri; Filippo. Sono tutte amicizie raccolte nel corso degli anni: con Vichy ad esempio abbiamo fatto un bellissimo viaggio in Calabria; Gilberto invece l’ho conosciuto durante un avventuroso trekking in Corsica; Filippo è un viaggiatore trans-oceanico e ha condiviso con Alfio esperienze nel sud-est asiatico…! La cena, al pari della sera prima, è ottima. Tanto che qualcuno (Leonardo, detto il “divoratore infaticabile”) si concede anche un bel “rinforzino”, ovvero una pirofila gigante di strozzaprete gamberi e zucchine. Il tutto innaffiato da abbondanti caraffoni di vino bianco fresco. Si chiude con l’immancabile limoncello gelato d’ordinanza, alternato al liquore all’essenza di liquirizia: squisita. Anche stavolta si è fatto assai tardi, e così ci si congeda carichi di stanchezza e soddisfazione. Non prima tuttavia di un ultimo mojito all’Opificio.

La mattina successiva libera uscita: ognuno fa un po’ quel che gli pare senza ordini di scuderia. D’altra parte sono le ultime ore di relax prima del rientro. Qualcuno fa ancora una sgambata in bici. Altri, la maggior parte, preferiscono fare due passi in spiaggia. Le due Alessandra(e) si congedano presto: hanno il treno a mezzogiorno; io ed altri invece ci tratteniamo ancora un paio d’ore. C’è ancora tempo per un bel bagno e per un pranzo come Dio comanda. D’altra parte… si chiude sempre in bellezza…!

Alla prossima.

Perdonate la mia improvvisazione e inadeguatezza con l’arte della fotografia: non è il mio forte, e si vede. Aspetto di vedere le vostre foto. Soprattutto quelle di una certa pers(z)ona…! Ciao e grazie di tutto a tutti.
Yanez (Oh Capitano, mio Capitano)

Meno male che non sei stato l’unico a fare le foto! Week stupendo tutto perfetto al prossimo raduno a Rimini. Ma perché aspettare un anno???? Facciamo bis dopo l’estate, fine settembre. PS. Nemmeno Alessandra fa foto cosi brutte :)
Lorenzo

Bravo Kirk, belle foto, il “rinforzino” di Leo è da premio Pulitzer!
Salvo

Bravo Lo! Ottima idea…! Magari anche prima della fine di settembre! Baci
Alessandra (Co)

Bellissimo week-end…! E appoggio la proposta di Lorenzo: perché non fare un bis ? Un abbraccio a tutti.
Alessandra (Pe)

Bis anche per me. Ma Lago di Garda no?! Grazie a tutti e buona settimana
Alfio

Per me va bene… basta concordare quando. Ovviamente con avvicinamento !
Alessandra (Co)

All’Ale è venuta voglia di mare…
Yanez

È vero…, ma possiamo fare entrambe le cose! Per il mare ho pensato a un tratto della Milano – Sanremo, bagno e cena al mare.
Alessandra (Co)

Approvo la proposta Lago di Garda e magari a metà settembre…! In tal caso aperitivo assicurato per festeggiare le mie primavere... ;-)
Sara

C’è bella gente al bagno 40…
Salvo

Splendida foto…! Ammazza quant’erano buoni ‘sti strozzaprete…
Yanez

Bella gente, soprattutto il tipo pettoruto e panciuto in minislip che si vede sullo sfondo…!fantastico!! :-) Voi siete tutti bellissimi!
Giovanna

… la piadina un po’ meno, ma la compagnia ha fatto la differenza, quante risate!
Lorenzo

‘anfatti, concordo! E prego Big Gil di far avere la foto a Mary, della quale non ho l’indirizzo. E a Lorenzo: mi devi ancora cinque monete. Mica ci si siede a gratis davanti a Elena :-)
Salvo

Cinque mi sembrano troppe: posso arrivare a due se non ho le tasche bucate
Lorenzo

Vabbe’ dai, chiudiamo a tre: hai fatto pure piedino…
Salvo

Piedino con le scarpe: scarpe grosse, cervello fino (come Artemio).
Yanez

martedì 10 giugno 2014

Gli “squinternauti” sulla vetta del Monte Titano (739 mt.) - San Marino

Qualcuno sostiene che l'Ale abbia messo giù il piede durante l'erta finale.
Lei non conferma né smentisce. E comunque, se pure fosse,
non è stato perché non ce la faceva...

Passano gli anni, ma la “biciclettata” è sempre la “biciclettata”...

Da Rimini a Verrucchio, lungo la ciclabile del Marecchia

mercoledì 4 giugno 2014

Massimo Troisi

Il 4 giugno di vent’anni fa se ne andava nel sonno Massimo Troisi. Si dice che agli artisti, quelli veri intendo, bastino anche pochi anni per dimostrare tutto il loro talento, e per lasciare ai posteri i segni della loro immortalità. Eppure nulla riesce a consolarmi di questa perdita così prematura: oggi, come allora. Quarant’uno anni, questo è quanto è stato dato di vivere a Massimo Troisi: cos’altro avrebbe potuto regalarci se solo avesse avuto più tempo? L’arte della maturità…, ecco di cosa ci ha privato la sua morte.
Ci resta tutto il resto, e non è poco.

Ecco una piccola antologia delle sue frasi, tratte dai suoi film:

- Quando c’è l’amore c’è tutto.
- No, chell’ è ‘a salute!

- Ma senti, se a te ti torturassero come a quello del film, avresti parlato?
- Pe’ carità! A me non c’era nemmeno bisogno che mi torturavano: a me bastava che mi dicevano sulamente... per esempio: “Guarda che se non parli… forse ti torturiamo”. Immediatamente parlavo, scrivevo, cioè se non capevano facevo nu disegno…

- Vincè, io mi uccido: meglio un giorno da leone o cento giorni da pecora?
- Tonì, che ne saccio io da pecora o do lione: fa’ cinquanta juorne da orsacchiotto…

- Allora Vincè, vieni anche tu a vedere la Madonna che piange?
- No padre, cioè l’ho detto già, non è per cattiveria che non voglio venì, è nu periodo che proprio non… loro lo sanno. Mi sento abbattuto, triste, non lo so, nun c’ha facc a vedé altra gente che piange, veramente…
- Come gente? A’ Madonna che è, gente?
- No, che c’entra, mica voglio dire che la Madonna è… nun c’ha facc, è nu fatt mio, cioè so’ io che sto così, e voglio vede’ gente nu pocu cchiù… ca se fa… Sinceramente, se rideva ci venivo.

- Mi piace fare l’amore con te.
- Anche a me.
- E allora perché non me lo dici mai?
- Che significa? Se lo faccio, ca lo facciamo accussì, vuol dire che mi piace, no?
- Eh no.
- Come no? È mai visto ca mi so’ dato ‘na martellata sulla mano o mi so’ tagliato un orecchio? No. Sai perche? Perché non mi piace. È normale

- Ricordati che devi morire!
- Come?
- Ricordati… che devi morire!
- Va bene…
- Ricordati che devi morire!
- Sì, sì… no mo’ me lo segno: non vi preoccupate

- Da quando c’e lui… treni in orario, e tutto in ordine!
- Per far arrivare i treni in orario, mica c’era bisogno di nominarlo capo del Governo (Mussolini: ndr), bastava farlo capostazione.

- Uno sta a inventare una medicina contro la caduta dei capelli e contro il dolore in un paese dove uno senza capelli dice che la via della salvezza è il dolore.

- Io non leggo mai. Non leggo libri, cose… perche che comincio a leggere mo’ che so’ grande, che i libri sono milioni e milioni? Non li raggiungo mai, hai capito? Pecche io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere.

- Mamma mia… io guarda, io non è che so’ contrario al matrimonio eh…, che non so’ venuto… Solo, non lo so, io credo che in particolare un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi tra di loro, troppo diversi.

- Tommaso non ci si uccide per amore, basta saper aspettare.
- E allora io non mi uccido per amore, mi uccido per impazienza.

- Dai fatt ‘stu bagn e poi esci un’altra volta…
- Il bagno non me lo posso fare, non so nuotare!
- E che vuol dire? Che ti ho detto fatti una nuotata?

- Lasciatemi soffrire tranquillo: chi vi chiede niente a voi? Voglio solo soffrire bene; mi distraete, nun me riesco a concentrà con voi qui intorno a me: soffro poco, soffro male: nun me diverto.

- Uno dice viviamo insieme quando vuol dire che le cose non vanno. Infatti quando poi peggiorano dice: perché non ci sposiamo? Se proprio cominciate che non ce la fate più a… dice: facciamo un figlio, così… quando alla fine vi odiate, ma siete vecchi, dice: che ci lasciamo adesso che siamo vecchi? È quello il percorso…

- La poesia non è di chi la scrive, ma di chi se ne serve.

- Don Pablo, vi devo parlare, è importante: mi sono innamorato!
- Ah meno male, non è grave c’è rimedio.
- No no, che rimedio: io voglio stare malato…

lunedì 2 giugno 2014

Io e la bici: una passione infinita

La mia bici da passeggio. Io la chiamo La Poderosa.
Mi ha portato fino a Santiago di Compostela, nel 2006.
Ha 16 anni...., ma direi che non li dimostra.

E questa è la mtb, per i viaggi avventurosi
Nei pressi di Pamplona,
Camino de Santiago 2006
Con la bici da corsa sul Mortirolo
Arrivo in cima alla Colma di Sormano,
dopo aver svalicato anche il Ghisallo:
un tantino cotto!
Delta del Po, marzo 2008
Cattedrale di San Giacomo, agosto 2006
Giro del Lago d'Iseo, luglio 2011
Lungo i Navigli di Milano:
Martesana, Grande e Pavese.
Giugno 2013 
Tour Marche & Abruzzo, agosto 2013
Tour Marche & Abruzzo, agosto 2013
Strada del Vasto, da Amatrice a l'Aquila
Agosto 2013

domenica 1 giugno 2014

Leonardo pensiero della sera…

- Oh Leo, allora ricordati: l’hotel si trova a Rimini in via Gustavo Dandolo.
- Be’, cosa vuoi che ti dica: sempre meglio che in via Felice Prendendolo…