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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

domenica 9 marzo 2014

Bukowski, a vent’anni dalla morte

Qualche anno fa, tornato da un trekking sulle Alpi Cozie, in Piemonte, scrissi un racconto di quel viaggio. E come spesso mi capita, lo condivisi con i compagni di quell’esperienza. Dopo qualche giorno, tra le tante risposte, mi giunse una mail che mi colpì molto: oltre ai complimenti per il testo che avevo scritto, c’era anche un paragone letterario: “Il tuo modo di scrivere mi ricorda Charles Bukowski; un Bukowski soft”.
Di questo autore avevo solo vagamente sentito parlare, ma l’accostamento mi riempì immediatamente d’orgoglio. Il giorno seguente al ricevimento di questa e-mail mi recai in libreria e acquistai l’opera più conosciuta del grande ‘Hank’, ovvero Storie di ordinaria follia. Fu come una folgore…! Bukowski metteva nelle sue pagine storie ordinarie, fotografie della realtà così come gli si presentava, senza falsi pudori, senza perbenismi: la sua era un’opera irriverente, volutamente scandalosa, irriguardosa per la morale del tempo. Scommesse sulle corse dei cavalli, sbronze colossali, storie di sesso e prostitute, lavori infami cominciati male e finiti peggio, risse. “Di cosa parlano i suoi libri” - gli chiese un giorno una giornalista. Ed egli, rispose: “Della vita…”. Ed in effetti Bukowski raccontava della sua esistenza, sempre ai limiti, sempre ad un passo dal baratro, difficile e disperata fin dall’infanzia.
E così, come spesso mi accade quando un autore mi rapisce, cominciai a leggere tutto, ma proprio tutto quello che aveva scritto: dai racconti brevi, ai romanzi, dalle novelle alle poesie. Bukowski, pur raccontando spesso episodi banali, ordinari, pur soffermandosi a descrivere una giornata qualunque della sua vita, era capace di incollarmi a quelle pagine: e non c’era verso di staccarmene. In quegli scritti che raccontavano di emarginati, si disadattati, di persone sconfitte dalla vita e perciò relegate a condurre un’esistenza ai confini estremi della società, c’era una sorta di incantesimo che legava e regalava piacere e benessere. Un mix sapiente di realismo spietato, essenzialità, ironia, sensualità, un taglio di prospettiva colto dall’angolo più infimo della scena.
E dunque col tempo divorai Compagno di sbronze, Confessioni di un codardo, A sud di nessun nord, Cena a sbafo, Donne, Factotum…! Tutto. Compreso Post Office, un capolavoro assoluto. Il mio Cialtrone probabilmente sarebbe stato diverso se non avessi letto Bukowski.
Il 9 marzo del 1994, quarant’anni fa, se ne andava l’ultimo degli ‘scrittori maledetti’. Nell’ambito dell’immediata ‘agiografia’ che lo ha avvolto già dopo la sua scomparsa, si narra che le sue ultime parole siano state rivolte alla morte: “Ti ho dato tante di quelle occasioni che avresti dovuto portarmi via parecchio tempo fa”. E subito dopo pare che abbia aggiunto: “Vorrei essere sepolto vicino all’ippodromo… per sentire la volata sulla dirittura d’arrivo”.

Ciao Buk, e grazie di tutto.

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