Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 31 gennaio 2014

Solidarietà

Francesco, detto Ciccio, era una persona fuori dal comune, e lui stesso era il primo a riconoscerlo. Di lui si narravano spesso storielle assai fantasiose e, alle volte, era egli stesso a raccontare le sue avventure stravaganti e surreali, senza peraltro nasconderne un certo qual compiacimento. Amava ad esempio presentarsi come grande affabulatore: «Mi devi credere: per andare dal tabaccaio all’angolo ci metto non meno di due ore, regolarmente! Chiunque mi vede per strada mi ferma e comincia a farmi domande, a chiedermi consigli, opinioni su qualunque argomento: “Uhe Ciccio, ho litigato con mia moglie: hai due minuti?” - “Uhe Ciccio, ho lo scarico del cesso intasato, che mi consigli?” - “Uhe Ciccio, mi hanno trovato la prostata infiammata: che devo fare?”. Io poi sono cortese, educato, rispondo a tutti, per carità, ma quando arriva il momento di dire basta lo faccio senza troppi giri di parole: “No guaglio’, e ‘mo basta ‘mo, me ne devo andare: tengo che fa…”. Ci restano male, lo so, ma non ci posso fare niente: devo pensare un po’ anche alla mia vita, o no?».
All’epoca in cui viveva ancora a casa del padre era appassionato di motori, soprattutto di motociclette. Dal momento che la prima gliel’avevano rubata sotto casa, aveva deciso che la soluzione migliore, per evitare un secondo furto, fosse portare la seconda direttamente in casa, su al terzo piano. La moto, una Kawasaki 750, rombava paurosamente su e giù per le scale del condominio ogni mattina e sera, lasciando spaventevoli miasmi per ore, oltre alle sgommate sui muri, ma i vicini non si lamentavano più di tanto: in fondo Ciccio - così lo chiamavano tutti ormai da anni - era simpatico e divertente, e quel piccolo fastidio poteva essere sopportato a fronte delle perle di saggezza che questi dispensava con così tanto altruismo. Un periodo Ciccio si mise in testa l’idea di costruire da se un’automobile: all’inizio fu quasi un gioco, ma poi, mano a mano che l’opera progrediva, la faccenda divenne seria, o meglio tragicomica. In effetti non disponendo di un box o di un’officina in cui assemblare i vari pezzi che riusciva a comprare o che riceveva da qualche amico carrozziere, Ciccio cominciò col portare tutto su in soggiorno. Il padre all’inizio lo lasciò fare pensando che da lì a breve il figlio l’avrebbe finita con quella faccenda. Il fratello e le due sorelle al contrario, intuirono che la questione stava prendendo una brutta piega. Ciccio continuava imperterrito, sebbene ogni giorno pensasse tra se e se: “Domani basta, dai, sennò qua dove andiamo a finire?”. Poi però si lasciava travolgere dagli eventi: “Perbacco, vediamo un po’ come viene montando la portiera”. Ed il giorno appresso: “Va be’ dai, aggiungo solo il paraurti e poi basta”. E ancora: “Però, proprio gentile Tommasino a regalarmi sto cofano: che faccio, non lo monto?”. Il soggiorno si era trasformato in auto-officina, chiazze d’olio in terra e attrezzi ovunque. Ciccio per la maggior parte del giorno era occupato in quella attività frenetica, aveva gli occhi spiritati ed appariva sporco di grasso fino alle orecchie. La famiglia, che pure non aveva mai creduto del tutto alla sua sanità di mente, cominciò a temere il peggio.
Dopo tre mesi di montaggi furiosi giunse un carro-attrezzi sotto casa. Scese un uomo tarchiato, sulla cinquantina, in tuta da lavoro e gridò verso la finestra: «Uhe Ciccio, t’ho portato quel motore, apri il portone». Il padre rabbrividì. Ciccio scese di volata in strada e fu subito circondato dai passanti che, non avendolo più visto da giorni, erano alquanto preoccupati. Qualcuno approfittò di quella apparizione per cercare di risolvere alcuni dei quesiti esistenziali rimasti in sospeso, a causa di quella perdurante assenza. Ciccio, in uno stato emotivo paurosamente traballante, cacciò via tutti minacciandoli con una chiave inglese da ventiquattro. A sera l’opera era compiuta. Ciccio salì in auto in un silenzio suggestivo: respirava a fatica e gli tremavano le mani. I familiari assistevano alla scena sbirciando dalla porta della cucina. La chiave girò nel quadro e il motore partì. Ciccio era in stato di trance. Il padre entrò nel soggiorno-officina seguito dagli altri figli, si avvicinò alla berlinetta e bussò con le nocche al finestrino. Ciccio si voltò verso di lui, lo sguardo assente. Il padre picchiò nuovamente, questa volta con violenza: Ciccio dopo qualche istante riconobbe il volto dell’anziano genitore e gli sorrise. A quel punto il padre aprì di scatto la portiera e gli chiese pacatamente: «Come cazzo intendi portarla giù adesso?».
Ciccio serrò le labbra, abbassò lo sguardo e rispose con un fil di voce: «Non c’ho ancora riflettuto bene, papà…!».
Passarono i mesi e tutto tornò alla normalità, o quasi. Ciccio cercò di convincere il padre che abbattere il muro esterno dell’appartamento era la soluzione migliore, ma di fronte alla ventilata ipotesi di far intervenire la neuro-deliri, ritirò molto opportunamente la proposta. Non gli restò che smontare l’automobile, pezzo per pezzo.
Trascorsero due anni e il fratello maggiore si sposò con una ragazza che aveva dei parenti emigrati in Lombardia. Alle nozze e al seguente ricevimento parteciparono un gran numero di invitati. Ciccio capitò non si sa come al tavolo dei parenti della sposa, giunti il giorno prima dopo un lungo viaggio in treno. La conversazione ferveva e il nostro era felice come poche volte gli era successo. Trovava oltremodo interessante parlare con il fratello della cognata, uomo colto e appassionato di storia romana antica. Costui ne sapeva così tante che Ciccio a stento riusciva a seguirlo, nonostante la sua approfondita conoscenza dell’argomento. A metà serata, dopo aver ascoltato i racconti che, partendo da Re Numitore arrivavano alla battaglia di Ponte Milvio, Ciccio ondeggiò paurosamente sulla sedia e portandosi le mani alla testa urlò: «Bastaaaa, mi scoppia la testa: ma come fai a sapere tutte queste cose, cazzoooo?».
Tornato in se si ributtò nella discussione, ma questa volta volle sapere dai commensali come si vivesse su al Nord. Tra tutte le cose che ascoltò, una più delle altre lo colpì: la differenza dei prezzi, soprattutto dei generi alimentari. Ne ebbe quasi un dolore fisico. «Eh sentiamo un po’ - chiese ai presenti - per esempio un chilogrammo di pane quanto lo pagate?».
«Eh be’ - rispose lo storico - il pane va dalle due alle tremila lire al chilogrammo».
Ciccio trasecolò: «Nooooo, possibile? Mi dispiace, mi dispiace veramente…!».
La notizia lo aveva tremendamente scosso: era uno strazio pensare a quanto spendessero quelle brave persone per un po’ di pane. Si rinchiuse in se stesso e per quasi un’ora stette in assoluto silenzio, cupo e pensieroso. I commensali, pur accorgendosi di quello strano atteggiamento, fecero finta di niente. Poi, tutto d’un tratto Ciccio, si riebbe e l’espressione tornò ad illuminarsi. «Sentitemi bene: ho riflettuto su questa faccenda, eh…».
«Quale faccenda?» - lo interruppe una signora alla sua destra.
«Come quale faccenda? Quella del pane, no…!».
«Ah giusto, mi scusi sa - fece la signora - , pensavo che quell’argomento fosse chiuso…!».
«Ma che chiuso e chiuso: ascoltatemi bene. Dunque io ho pensato di fare in questa maniera: un mio caro amico fa il trasportatore e ha un camion con rimorchio. Il giovedì viene al nord vuoto per prendere un carico. Sentite che idea che mi è venuta: io il mercoledì sera vado giù al forno e ordino il pane, le ruote di pane pugliese, giusto? Sapete a quanto vanno al chilo? Mille lire, mille lire al chilo…! Che ve ne pare? Un affare, no? Ecco, poi il giorno dopo facciamo il carico sul tir e partiamo. In serata siamo a Milano. Svuotiamo il camion e ce ne torniamo a Foggia con l’altro carico».
Ci fu una rincorsa di occhi sgranati tra i commensali. «Scusami un secondo Ciccio - fece il tipo alla sua sinistra - , ma approssimativamente quanti chilogrammi di pane ci vorresti spedire? Così, tanto per avere un’idea».
«Eh be- fece lui - , esattamente non lo so: però saranno almeno due o tre tonnellate».
«Tre tonnellate di pane? - replicò la signora - Ma io a casa ho appena uno sgabuzzino: dove credi che le possa mettere tre tonnellate di pane?».
«Ah be questo proprio non lo so: ad ogni modo il trasporto fino a Milano è a carico vostro».

(Il Cialtrone, 2012)

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