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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 24 gennaio 2014

Gli sherpa, il popolo degli umili portatori dell’Everest

Riportiamo su queste pagine un bellissimo articolo apparso sul Corriere della Sera di oggi:

Camminare, da quando siamo scesi dagli alberi, resta una delle nostre attività principali. È un gesto ancestrale, si impara d’istinto, spesso prima di parlare. Il passo è un’impronta digitale in movimento, ognuno ha la sua. Se ci fosse un’università dove si insegnano a muovere i piedi per raggiungere una meta, gli sherpa dell’Himalaya sarebbero i docenti. Marco Vallesi è una delle due guide alpine italiane utilizzate anni fa come cavie dai ricercatori della Piramide del Cnr, base di ricerca scientifica alle pendici dell’Everest a 5 mila metri di quota, per un confronto fisiologico con gli sherpa della valle del Khumbu, in Nepal. Lui e il suo collega, dal confronto, sono usciti con le orecchie basse.
CONFRONTO - «Se li guardi camminare sui loro sentieri», spiega Marco, «vedi l’armonia del loro movimento che segue il terreno senza sprecare una stilla di energia. Sassi, legni, radici, ciò che per noi è un ostacolo, per loro diventa un appoggio». Passi corti, cadenzati, con una respirazione perfetta che non va mai in ipossia. Il professor Paolo Cerretelli, che è stato docente di fisiologia alle università di Milano e Ginevra, ha effettuato test alla Piramide che hanno mostrato come uno sherpa, a 5 mila metri, perde il 17% della sua massima potenza aerobica (in termini automobilistici, i cavalli del motore), un maratoneta professionista il 26% e un umano di sana e robusta costituzione, che pratica attività sportiva regolare, il 40%. Gli altri a 5 mila metri non ci arrivano neanche.
MUOVERSI A 4 MILA METRI - Gli sherpa, a vederli nelle strade trafficate di Kathmandu, sembrano esili, magri, di solito piccoli. Sui sentieri a 4 mila metri, dove impiegano meno di una giornata per fare un tragitto che a un umano, per quanto sano e robusto, ne costa tre, diventano una razza superiore, anche se frequentemente sottomessa. Spesso hanno una fascia che passa sulla fronte e regge una gerla con cui portano pesi che noi non riusciamo ad alzare da terra: anche 70 chilogrammi. Muoversi là sopra significa capire a fondo la natura, intuire in anticipo ciò che sta per accadere: nuvole, vento, neve, valanghe, più si sale di quota più non si può sbagliare passo. Gli sherpa di solito non sbagliano anche perché, a differenza di molti escursionisti occidentali, sanno quando è il momento di tornare indietro, di cedere il passo a montagne che possono scrollarsi di dosso chiunque nel giro di qualche secondo.
SULLA CIMA DELLA DEA - Tenzing Chhottar Sherpa ha 27 anni ed è nato a Namche Bazar, capitale della valle del Khumbu, a 3.500 metri di quota. Un pomeriggio di un anno fa si trovava al Colle Sud, a 8 mila metri, ultimo campo sul versante sud del monte Everest. Fino a quella volta non era mai salito sopra i 6 mila e si trovava lì per provare ad aggiustare la stazione meteo del Cnr, che era stata installata nel 2011 ma aveva smesso di funzionare quasi subito, come si fosse spaventata anche lei per gli elementi atmosferici che stava registrando a quella quota. Tenzing aveva fatto tardi e scendere al campo II, a 6.500 metri, era un’idea che non lo convinceva: c’era vento forte e poche ore di luce. Per uno strano e fortunato caso al Colle Sud c’era anche suo fratello maggiore, impegnato come guida in una spedizione con quattro clienti americani. Offrì ospitalità in una delle loro tende a Tenzing. «Quando eravamo dentro bisognava urlare per riuscire a sentirsi a causa del vento. Mio fratello mi spiegò che lui, altri due sherpa e i quattro clienti si sarebbero mossi alle 2 di notte per salire alla cima. Poi disse, sorridendo: “Se ti senti bene, puoi venire anche tu”. Rimasi spiazzato, non avevo mai preso in esame l’idea di salire sull’Everest, ma la prospettiva di restare da solo in tenda al Colle Sud, di notte, con quel vento, mi spaventava quasi di più che non provare a salire sulla cima. Andai con loro». A uno sherpa succede anche questo: decide a 8 mila metri di quota, perché incontra suo fratello, di salire sull’Everest. «Sono andato su bene, usando l’ossigeno e tenendo il passo degli americani, che per fortuna andavano piano. Ho avuto solo un po’ di paura in mezzo a una coda lunghissima di alpinisti prima dell’Hillary Step. Quando ero sulla cima ho visto che mancavano 30 metri al punto più alto e sapevo che ormai li avrei fatti di sicuro: ero felice, mi sono inginocchiato a pregare prima di fare gli ultimi passi».
Continua a leggere: http://www.corriere.it/ambiente/14_gennaio_22/gli-sherpa-popolo-umili-portatori-dell-everest-06955752-8370-11e3-9ab1-851e2181383b.shtml

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