Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

mercoledì 11 dicembre 2013

L’epilogo scontato delle anime nobili

Sabato sera scorso, essendo in condizioni fisiche tutt’altro che ottimali (mal di gola da urlo e qualche linea di febbre), me ne sono rimasto a casa. E la qual cosa non mi è affatto dispiaciuta, anche perché fuori faceva - e fa - un freddo becco e poi c’è quella bella nebbiona che ti fa arretrare ancor prima di mettere mano alle chiavi per aprire la porta. Da noi, nella bassa padana quando c’è la nebbia, quella vera, non si vede proprio un bel niente, e viaggiare in automobile è un’esperienza al limite della fantascienza. Alle volte la coltre è così spessa che si fa fatica a vedere non solo la strada, ma addirittura la linea di mezzeria. E la cosa crea un tale stato di stordimento sensoriale, che si perde quasi completamente il senso dell’orientamento: “Oddio, e ora dove siamo finiti?”. Una volta ricordo che ero al ginnasio, e c’era una nebbia apocalittica. In classe entrò la professoressa di inglese - una fervida attivista di Azione Cattolica - e disse: «Accidenti, dalla statale non si vedeva neanche la scuola». Al che pensai tra me e me: “Peccato che alla fine poi l’hai trovata…”. In effetti non amavo alla follia quest’insegnante, e non mi sarebbe dispiaciuto sfangarmi la sua bella ora di lezione. Poi però, come rapita da un momento di estasi, aggiunse: «Ecco, Dio è un po’ come la scuola oggi: non si vede, ma sai che c’è…». Mi piacque quel paragone: tant’è che oggi, a distanza di quasi trent’anni ancora me lo ricordo nitidamente.
Ma tornando a sabato scorso, il punto era come trascorrere la serata. Sul comodino c’era Cent’anni di solitudine, un mostruoso mattone, a cui - nel corso degli anni - ho provato più e più volte di dare l’assalto (mi piacerebbe sapere se c’è qualcuno a cui è piaciuto questo “capolavoro” valso il Nobel per la letteratura a Marquez…). Ho provato a leggere qualche pagina, ma alla trentaquattresima volta che l’autore nominava Aureliano Buendia, alternato a Josè Arcadio Buendia, alle prese entrambi con le loro mortifere vicende, ho chiuso tutto e ho spento l’abatjour. E così ho guardato un po’ di tele. Sul primo canale c’era un programma con una gara di ballo. Bello, interessate, per carità, pieno di musica e allegria: il classico show nazional-popolare che piace tanto agli italiani. Non c’era di meglio e così me lo sono sorbito tutto. La gara si è protratta fino ad oltre mezzanotte e, in un clima sempre più festoso, si è concluso con lo scontro finale: due coppie si dovevano sfidare su una serie di balli di diverse discipline (jive, rumba, merengue etc…) ed il pubblico era chiamato - tramite l’ormai immancabile televoto - a decretare quale fosse la coppia migliore. Ebbene, come poi si è capito dalla dinamica della gara, ogni coppia doveva “chiamare” il ballo che poi la coppia avversaria era tenuta ad eseguire, e questo nell’ottica di mettere il più possibile in difficoltà l’avversario: d’altra parte, non è che tutti sappiamo fare tutto, e al meglio. Ebbene, la prima coppia ha preso alla lettera la faccenda, ed ha infierito in maniera (agonisticamente) spietata nei confronti dell’altra, costringendola a dei balli per i quali non era proprio portata. L’altra coppia, invece, ha ragionato in maniera più decubertiana, ovvero “perché mai dovrei metterti in difficoltà? Giochiamocela sul nostro meglio, non sul nostro peggio”. Morale, e per farla breve, il pubblico ha premiato la coppia dei più furbi e agguerriti. Com’era immaginabile. E questo non perché essi fossero i più bravi - erano tutti eccellenti ballerini, per quel che ne possa capire - , ma perché gli avversari hanno concesso loro di esibirsi sui loro pezzi forti.
Osservando queste differenti manifestazioni dell’animo umano mi è venuto in mente un detto che usava spesso ripetere Indro Montanelli: “La sconfitta è il blasone delle anime nobili”. Cosa vuol dire? L’anima nobile non ha come finalità quella di schiacciare l’avversario, non ha interesse a primeggiare, a mettersi in mostra. A lei basta il bel gesto, il vivere cortese, l’affrontare la competizione sul terreno della correttezza più totale, rispettando l’avversario più di se stessa. Se poi viene anche la vittoria, tanto meglio. A suo modo, l’anima nobile, è un talebano dell’etica e della morale, un personaggio intransigente con le regole che si è dato, e che rispetterebbe ad ogni costo. Nulla vale più del proprio onore così come nulla è più disonorevole che mettere volutamente in difficoltà il proprio avversario: “a te la scelta delle armi…”. Il che non vuol dire arrendersi in partenza, senza combattere. Tutt’altro. Proprio per questo atteggiamento di estremo altruismo infatti, l’anima nobile è costretta a battersi sovente con più impegno e in condizioni d’inferiorità, dovendo rincorre un vantaggio concesso all’avversario dalla propria correttezza incondizionata. A maggior ragione se poi l’avversario se ne approfitta giocando sporco. Per l’anima nobile cioè, si gareggia per vincere, ma non si vince ad ogni costo. Il che detto in un’epoca di assoluta deriva morale, in cui vige il principio del successo a prescindere, anche calpestando le più elementari regole sociali e civile, è quasi una bestemmia. Me ne rendo conto. E d’altra parte non riesco proprio a ragionare in maniera diversa: tra Ettore e Achille, scelgo il primo tutta la vita.

1 commento:

  1. Questa parte la sistemerei in questo modo:
    Osservando queste differenti manifestazioni dell’animo umano mi è venuto in mente un detto che usava spesso ripetere Indro Montanelli: “La sconfitta è il blasone delle anime nobili”. Cosa vuol dire? L’anima nobile non ha come finalità quella di schiacciare l’avversario, nonostante desideri primeggiare e mettersi in mostra, ma nel gesto onesto e cortese, affrontare la competizione sul terreno della correttezza, rispettando l’avversario, come se stessa. Lotta per la vittoria, ma se non viene, pazienza. Ella ha fatto tutto ciò che poteva. E se l’altro ha vinto con correttezza, è il primo a riconoscerlo. L’anima nobile rispetta le regole perché rispetta se stesso. Nulla vale più del proprio onore così come nulla è più disonorevole che mettere volutamente in difficoltà il proprio avversario: “combattiamo ad armi pari”. E comunque non si arrende in partenza, senza combattere, sebbene l’altro lo fa molto scorrettamente. Purtroppo, proprio perché l’avversario spesso è senza riguardo, non per estremo altruismo, visto che non è un santo, ma solo un umano dall’anima nobile è costretto a battersi sovente con più impegno e in condizioni più difficili, dovendo farlo spontaneamente con correttezza, contro un avversario che se ne approfitta e gioca invece sporco. Per l’anima nobile, cioè, si gareggia per vincere, ma non ad ogni costo. Il che detto in un’epoca di deriva morale, in cui vige il principio del successo a prescindere, anche calpestando le più elementari regole sociali e civili, è quasi una rarità. Se ne rende conto. E d’altra parte ella non riesce a comportarsi spontaneamente in maniera diversa: tant’è che in essa prevale Ettore e non Achille, sempre. michelerusso2005@yahoo.it

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