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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 9 dicembre 2013

Babbo Natale o Santa Lucia: chi porta i regali?

Natale si avvicina, e con esso arriverà anche quel vecchio panciuto che si ostina ad indossare un’improbabile divisa di panno rosso con i risvolti bianchi e quel cappello buffo da folletto dei boschi. Un personaggio di “peso” che, cospargendosi verosimilmente di vaselina, scenderà lungo le canne fumarie dei nostri camini e ci lascerà pacchi e pacchettini sotto l’albero (a seconda delle nostre disponibilità economiche, s’intende). E il mio parroco intanto si ostina a tuonare dal pulpito: “Basta con questo Babbo Natale…! Smettetela di dire ai bambini che a Natale arriva Babbo Natale. A Natale nasce Gesù Bambino…”. Già, in effetti non è che abbia tutti i torti il buon Don Emilio…! Ma vallo a spiegare ai milioni di bambini che da giorni hanno scritto letterine indirizzate a ‘Babbo Natale - Circolo Polare Artico FIN-96930 NAPAPIIRI - Finlandia’. E poi, ve l’immaginate che colpo: «Babbo Natale non esiste…». E giù tutti a piangere…!
Ma come nasce Babbo Natale, e come arriva a travestirsi così da pagliaccio? Ecco un bel resoconto dettagliato apparso ieri sul sito dell’Adn-Kronos:
Vestito rosso, barba bianca e stivali: il Santa Claus ‘moderno’ compie 190 anni - Perennemente in sovrappeso, rubicondo, con la folta barba bianca, il vestito rosso bordato di candida pelliccia, e gli stivali, alla guida della sua slitta trainata da renne, con l’inseparabile sacco colmo di doni. Il Babbo Natale ‘moderno’ compie 190 anni, non ha mai cambiato look e di sicuro non lo cambierà mai più. Santa Claus è una figura antica, che si fa risalire alla leggenda di San Nicola di Myra, vescovo cristiano del IV secolo. Ma la trasformazione nella figura che oggi conosciamo si deve a Clement Clarke Moore, scrittore e linguista newyorkese, autore della poesia, pubblicata nel 1823, ‘A visit from Saint Nicholas’, nella quale il vescovo dell’Anatolia è rappresentato come un elfo “rotondetto”, con barba bianca, vestiti rossi orlati di pelliccia, alla guida di una slitta trainata da renne, carico di regali e giocattoli. Il look di Babbo Natale si perfeziona con il passare degli anni: nel 1862 l’illustratore Thomas Nast, sulla rivista statunitense Harper’s Weekly, lo raffigura con una giacca rossa, folta barba bianca e stivali. Da quel momento, la fisionomia di Santa Claus non cambierà, diventando ‘globale’ dal 1931, quando Haddon Sundblom disegna l’ormai celeberrima immagine di Babbo Natale per la pubblicità della Coca Cola. Che si chiami Santa Claus, Pere Noel o Sinterklaas, a seconda della latitudine, tutte le versioni del Babbo Natale moderno derivano dallo stesso personaggio storico, il vescovo, poi divenuto santo, San Nicola di Bari, o semplicemente Nicola della città di Myra, un’antica città dell’odierna Turchia. Attorno a questo personaggio sono nate molte leggende. Tutte, però, con un comune denominatore: la generosità di Nicola, nato in una ricca famiglia, ma rimasto presto orfano e cresciuto dai frati di un monastero. Di lui si racconta, ad esempio, che ritrovò e riportò in vita cinque fanciulli che erano stati rapiti e uccisi da un oste. Un miracolo che gli valse la fama di protettore dei bambini. Nicola di Myra è un personaggio leggendario anche per la sua generosità, che lo spinse a donare ai bambini poveri della sua città tutte le ricchezze della sua famiglia, distribuendo l’oro accumulato dal padre e conservato in grandi sacchi. Come quelli che il Babbo natale ‘moderno’ usa per trasportare nelle case di tutto il mondo i doni per i bambini. Ma se il capostipite di tutti i Babbo Natale del mondo resta il santo dell’Anatolia, altre figure hanno popolato nei secoli l’immaginario natalizio. Come quella che appartiene alla tradizione di alcune tribù germaniche, dopo la conversione al cristianesimo, che narra di un uomo in lotta con un demone che terrorizzava la popolazione insinuandosi nelle case attraverso la canna fumaria per uccidere i bambini. Catturato dal supereroe ante litteram, il mostro è obbligato a obbedire ai suoi ordini e costretto a passare di casa in casa per fare ammenda portando dei doni ai bambini. Una buona azione riparatoria ripetuta ogni anno. In un’altra versione, il demone convertito raccoglie con sé gli altri elfi e folletti, diventando quel Babbo Natale che oggi conosciamo. C’è poi chi ‘esagera’. Come gli islandesi, che dicono di avere ben 13 Babbo Natale, perché la loro tradizione natalizia si basa su 13 folletti, chiamati Jo’lasveinar, i cui nomi (impronunciabili) derivano dal tipo di attività o di cibo che preferiscono. Una tradizione che fa felici i bambini islandesi, che ricevono ben 13 regali, uno per ogni giorno delle due settimane che precedono il Natale. In ogni caso, ai bambini islandesi va di lusso, se pensiamo che ai bimbi cattivi italiani Babbo Natale porta del carbone: se i piccoli scandinavi non sono stati buoni da meritarsi i regali, ricevono patate. Almeno non restano a stomaco vuoto.
E di Santa Lucia che sappiamo? Non è un mistero che in alcune parti dell’Italia settentrionale, il 13 dicembre c’è l’usanza di regalare i doni ai bambini. Eppure Santa Lucia era di Siracusa. Ebbene, la vicenda affonda le radici nell’epoca tardo-imperiale. Santa Lucia venne martirizzata il 13 dicembre del 304 d.C. - regnante Diocleziano - e successivamente i Bizantini portarono le sue spoglie a Costantinopoli. Da qui i veneziani, a seguito del saccheggio del 1204, le condussero a Venezia, dove riposano definitivamente in una chiesa che si affaccia sul Canal Grande, nei pressi della stazione ferroviaria. Ebbene, narra la tradizione che, durante la Festa di Santa Lucia - una delle principali del tempo - , i nobili della Serenissima fossero usi regalare dei doni ai bambini più poveri della città. Col tempo questa usanza si diffuse in tutti i territori della Repubblica, ovvero fino al fiume Adda. Ed è così che oggi la tradizione dei doni a Santa Lucia è in voga in Veneto, nel Friuli, in parte del Trentino, nel bresciano, nel bergamasco e nel cremasco. Per accrescere l’attesa dei bimbi - si legge su Wikipedia - è uso che i ragazzi più grandi, nelle sere precedenti, percorrano le strade suonando un campanello da messa e richiamando i piccoli al loro dovere di andare subito a letto, ad evitare che la santa li veda e li accechi, gettando cenere nei loro occhi. Allo scopo di ringraziare la santa è uso lasciare del cibo; solitamente delle arance, dei biscotti, caffè, mezzo bicchiere di vino rosso e del fieno, oppure farina gialla e sale, per l’asino che trasporta i doni (dalle mie parti invece, si mette solo un fascio di fieno appeso al cancello per l’asino : ndr). Il mattino del 13 dicembre, al loro risveglio, i bimbi troveranno un piatto con le arance e i biscotti consumati, arricchito di caramelle e monete di cioccolato. Inoltre, a volte nascosti nella casa, i doni che avevano richiesti e che sono dispensati totalmente o parzialmente, secondo il comportamento tenuto.
Sono belle le tradizioni, non c’è che dire. In effetti però tutto ciò ha un piccolo svantaggio: nelle famiglie di origine meridionale come la mia, per esempio, vige ancora la tradizione del regalo a Natale. Se però i bambini non ricevono i doni a Santa Lucia, come i loro amichetti settentrionali da generazioni, ci restano male. Non resta dunque che pensare a due doni. A meno che i marmocchi si siano “comportati male” durante l’anno: in tal caso va bene anche il carbone. Per chi se la senta, naturalmente.

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