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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 14 ottobre 2013

Nessuna pietà

In questi giorni il Vicariato di Roma e gran parte delle istituzioni capitoline hanno risposto in maniera negativa alla richiesta delle celebrazioni religiose avanzata dal legale del defunto Capitano delle SS Erich Priebke. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha dichiarato: “Roma è una città antinazifascista che ha sofferto drammaticamente. La normativa vigente, purtroppo al momento non consente al Comune di Roma di rifiutare la sepoltura di chi muore nel suo territorio. Sono però personalmente convinto che Roma […] non possa accettare uno schiaffo alla sua storia e alla sua comunità cittadina, tanto profondamente toccate da episodi violenti e tragici commessi dallo stesso Priebke. Non si possono cancellare la storia e le ferite profonde della città di Roma”. “Non sono previste esequie per Priebke in una chiesa di Roma”, ha aggiunto don Walter Insero, portavoce del Vicariato. Ed a seguire, è giunta una nota ufficiale dello stesso Vicariato: “L’autorità ecclesiastica, considerate tutte le circostanze del caso, ha ritenuto che la preghiera per il defunto e il suo affidamento alla misericordia di Dio […] dovessero avvenire in forma strettamente privata, cioè nella casa che ospitava le spoglie del defunto. Pertanto, nel rispetto della legge della Chiesa, non è stata negata la preghiera per il defunto, ma è stata decisa una modalità diversa da quella abituale, riservata e discreta”. Tutta questa vicenda mi ha lasciato profondamente turbato, ed ho chiesto ad alcuni amici cosa ne pensassero loro. Qualcuno non ci ha pensato su un istante ed ha affermato senza alcun dubbio che non ci può essere alcuna pietà per una persona come Priebke: «Eh no, mi dispiace: in quella drammatica data quel maledetto boia ha trucidato ben 335 persone innocenti, un eccidio mostruoso. Ci manca solo che gli venga fatto il funerale a Roma. Un’evenienza impensabile e inammissibile. Anche perché c’è il rischio che la sua tomba diventi meta di pellegrinaggio per quei fanatici che ancora inneggiano a Hitler. Nessuna cerimonia funebre, e men che meno dentro la città di Roma…». Altri hanno mostrato un atteggiamento più pietoso: «A me non sembra affatto giusto che la Chiesa proibisca un funerale pubblico ad un essere umano, per di più battezzato. Un tempo si diceva “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Evidentemente i tempi sono cambiati…». Qualcun altro ha manifestato invece un vero e proprio fastidio: «Sono degli ipocriti: si fanno scappare l’ufficiale che ordinò l’eccidio (che è morto di vecchiaia a casa sua) e gettano all’inferno Priebke che se non avesse eseguito gli ordini andava a finire in mezzo ai trucidati».
Come si sa l’eccidio delle Fosse Ardeatine avvenne il 24 marzo del 1944 e furono 335 i civili e militari italiani che persero la vita. Per quel massacro venne arrestato, processato e condannato all’ergastolo Herbert Kappler, all’epoca ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma. Kappler poi, riuscì ad evadere dall’ospedale del Celio - dove era ricoverato per un tumore - nel 1977 e l’anno seguente morì in Germania. Quello che invece non tutti sanno è che Kappler venne ritenuto responsabile e dunque condannato, per la morte di sole 15 persone su 335. Il motivo? Molto semplice: perché all’epoca in tutti i codici di guerra esisteva il cosiddetto “diritto di rappresaglia”, ovvero la possibilità da parte di una potenza occupante di porre in essere azioni punitive nei confronti della popolazione del territorio occupato, quando questa avesse causato danni a propri cittadini (militari o civili) in quello stesso territorio. Kappler venne condannato all’ergastolo per un puro calcolo aritmetico: il diritto di rappresaglia gli avrebbe consentito legittimamente di uccidere 10 italiani per ogni tedesco morto nell’attentato in via Rasella (32 vittime), ma egli di sua iniziativa volle inserire altri 10 persone nell’elenco già stilato. Da 10 poi, per un errore fatale, questi divennero 15. Kappler dunque, se si fosse attenuto scrupolosamente al codice di guerra, probabilmente l’avrebbe fatta franca.
Priebke invece riuscì a fuggire in Argentina e solo nel 1995 venne riconosciuto ed estradato in Italia. Venne processato e assolto in primo grado per intervenuta prescrizione del reato. La Cassazione annullò l’assoluzione e dispose un nuovo processo: condanna a 15 anni. La Corte d’Appello decise invece per l’ergastolo, e la Cassazione confermò. Si trattò di un processo che divise l’opinione pubblica, e che incontrovertibilmente venne segnato dal clamore che si alzava dalle piazze. Basti pensare che, dopo l’assoluzione di primo grado, scoppiarono tumulti tali che il Governo italiano dovette promettere che Priebke, nonostante fosse stato prosciolto, non sarebbe stato liberato. Indro Montanelli nell’aprile del 1996 scrisse una lettera aperta: “Da vecchio soldato, e sia pure di un esercito molto diverso dal suo, so benissimo che lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto. Il processo si dovrebbe fare alle aberrazioni dei totalitarismi e a certe leggi di guerra che imponevano la rappresaglia. Certo: lei, Priebke, poteva non eseguire l’ordine, e in pratica suicidarsi. Questo avrebbe fatto di lei un martire. Invece, quell’ordine lo eseguì. Ma questo non fa di lei un criminale”.
Io non saprei dire se Priebke sia stato o meno un criminale: per la giustizia italiana lo fu. Mi limito a constatare che la condanna del criminale avvenne a distanza di oltre mezzo secolo, un lasso di tempo spropositato: ha senso punire una persona per dei crimini commessi allora? Che senso ha infliggere la pena dell’ergastolo ad un uomo di quasi novant’anni? E ancora, se è vero come è vero che le pene nel nostro ordinamento sono finalizzate al ravvedimento e alla rieducazione, questa condanna ha qualcosa di logico? Ma al di là di ogni disquisizione giuridica e storica (fu mai processato qualcuno per i bombardamenti a tappeto sulla Germania ormai sconfitta e in ginocchio, o per le bombe atomiche sul Giappone? Erano civili anche quelli…), qui si tratta di semplice pietà umana. E fa effetto sapere che è proprio la Chiesa del “perdono” e della “misericordia” che chiude le sue porte ad un essere umano. Egli può essere stato il più grande criminale della storia, ma di fronte alla morte siamo tutti uguali. Ed un funerale non si nega a nessuno. A maggior ragione se il defunto, com’era il caso di Priebke, era cattolico e battezzato. Mors omnia solvit dicevano i romani. Qui invece siamo alla condanna eterna, al fine pena mai nei secoli dei secoli.

Fonte: http://www.ilmessaggero.it/ROMA/CRONACA/pribke_sepoltura_vicariato_legale_rifiuta_esequie_private/notizie/339405.shtml
http://qn.quotidiano.net/cronaca/2013/10/12/964469-priebke-morto-argentina-rifiuta-salma.shtml

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