Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 2 luglio 2013

Il viaggio di maturità

L’altro giorno discutevo con un’amica di quanto mi fossero venute a noia tutte le notizie che ciclicamente, giunto questo periodi, ci alluvionano circa gli esami di maturità. Indiscrezioni sulle tracce dei temi, fughe di notizie, matematica allo scientifico, greco al classico: saranno quarant’anni che i giornali scrivono sempre le stesse cose. Se andate in un archivio di biblioteca e pescate una copia del Corriere della Sera di fine giugno del 1971, leggerete più o meno gli stessi articoli di questi giorni, gli stessi concetti, le medesime analisi di sempre. Una noia senza fine. Tra l’altro queste intere paginate con titoloni ansiogeni mi rimandano immediatamente ai tempi in cui anch’io mi cimentai con questo grazioso esamino. E non è una bella sensazione, come si può facilmente immaginare. È appunto uno di quei ricordi che una mente normale cerca di dimenticare, di seppellire sotto un buon metro di terra argillosa. E invece niente, non c’è anno che non si ripiombi nell’incubo: due settimane di tormento, in attesa dell’arrivo dell’estate vera e propria, con le relative notizie sulle abitudini degli italiani in riva al mare. Tra le tante insulsaggini di questi giorni, tuttavia, una notizia finalmente ha attratto piacevolmente la mia attenzione: “Dopo la maturità, l’85 per cento degli studenti farà viaggio premio”. Uhau…, finalmente. Come non farsi travolgere da un vento così leggero ed evocativo? Chi potrebbe dimenticare quel senso di libertà improvviso provato dopo aver chiuso con la scuola (almeno fino a che non fosse cominciata l’università), quello slancio di vitalità divorato a morsi una volta partiti per il “Viaggio”, quello straordinario momento di vita, assaporato con tutta l’intensità esistenziale possibile? Una ricerca svolta da Skuola.net per conto di Karambola, tour operator del gruppo Alpitour, ha stilato da qualche giorno l’identikit del viaggiatore post-maturità: meta preferita Italia e Grecia; in viaggio con amici e compagni di classe (solo il 18 per cento con il proprio partner); prenotazioni online o tramite agenzia; vacanza rigorosamente low-cost.
Sono passati molti anni da quell’estate del ’91, anno in cui mi diplomai, ma non è cambiato di molto lo scenario. Anche noi partimmo per la Grecia, e allo stesso modo anche il nostro fu un viaggio con budget assai limitato. Senza prenotare nulla, peraltro. Ma prima di imbarcarci per le isole greche, un’altra fu l’avventura che ci vide protagonisti, quasi un rito di passaggio dall’età adolescenziale alla maturità (appunto). Eccolo:

In una giornata caldissima di luglio del 1991 ho sostenuto gli esami di maturità. Ricordo perfettamente quel mattino, la commissione d’esami, la sala in cui mi fu chiesto di ciarlare sulla “Psicanalisi” di Freud e sul “Signor di Mongolfiere” di Vincenzo Monti - che il buon Dio lo abbia in gloria…! - . Ad ascoltare l’interrogazione c’erano anche i miei amici. Erano nervosi più di me ed impazienti: del resto gli zaini pronti fuori dell’aula volevano significare: “Eh muoviti cacchio che dobbiamo partire, sei ancora lì a fare…?”. Infatti terminata l’interrogazione, penosissima peraltro, partimmo subito alla volta dei monti bergamaschi: il programma era di passare qualche giorno randagio per i boschi. Raggiungemmo con la corriera Zorzone, una frazione di Oltre il Colle, e cominciammo a risalire i versanti dell’Alta Val Brembana. L’idea era di tornare su al Passo dei Laghi Gemelli, là dove alcuni di noi erano stati l’estate prima, e trascorrervi la notte al bivacco. Ci attendevano oltre mille metri di dislivello da compiere con zaini e tende. Tra di noi solo Ghigo - da sempre abituato a questo genere d’escursioni - era capace di affrontare tali imprese in scioltezza. Tutti gli altri - fumatori e bevitori da competizione - , al di là di una partitella a calcio al sabato pomeriggio, erano completamente a digiuno di qualsiasi attività sportiva. Marciammo con enorme lentezza per oltre tre ore, sotto un sole spietato: Andrea e Stefano chiudevano la fila arrancando in maniera pietosa. Stefano, che fin dal principio si portava appresso un inquietante nugolo di mosche verdi ronzanti, aveva anche difficoltà respiratorie, soffrendo per un principio di adenoidi assai fastidioso. Nel primo pomeriggio raggiungemmo le Baite di Mezzeno: eravamo a metà cammino. Proseguimmo stoicamente, decisi a raggiungere il nostro obiettivo. Improvvisamente il cielo rabbuiò e una pesante coltre di nuvole nere cominciò a scaricarci addosso secchiate d’acqua gelata. Il sentiero ben presto si tramutò in un ruscello che via via prendeva forza di torrente. Ci paralizzammo indecisi sul da farsi: ci fissavamo gli uni gli altri sconsolati, quasi increduli per quel cambiamento repentino del tempo. Ad un tratto, quando pareva che stesse per smettere, cominciarono a piovere chicchi di grandine: da principio piccoli ed insignificanti, poi sempre più grossi, puntuti e dolorosi. Qualcuno cominciò a lanciare brevi risatine sinistre di disperazione. Decidemmo all’unanimità di tornare indietro verso le Baite. Giunti sulla piana, dal cielo chiusero i rubinetti e potemmo riprenderci dallo sgomento. Il terreno ormai era completamente infradiciato e il fango rendeva scivoloso il sentiero: riprendere la salita era da escludere. Con il calare delle tenebre cominciò a scendere la temperatura. Bivaccare nelle baracche era assai sconsigliabile data la quantità enorme di letame di vacca scaricata all’interno, e dunque tirammo su le tende e ci sistemammo alla bell’e meglio. Il momento che più segnò quell’esperienza fu quando, intorno ad un falò scoppiettante, con un panorama mozzafiato reso dorato dal sole che tramontava sul cielo di Lombardia finalmente sereno, bevemmo una bottiglia di Bonarda e ci passammo di mano un cannone superbo. Fu difficile prendere sonno, il silenzio notturno della montagna provocava strani brusii nelle orecchie cittadine e, di tanto in tanto, era interrotto dallo scampanare di qualche lontana vacca al pascolo. Ci assopimmo solo a tarda notte, nonostante la stanchezza. Al mattino ci svegliammo avvolti da una spessa coltre di nebbia: la visibilità era limitata a non più di qualche metro. Non c’era un alito di vento, l’aria greve e immobile gravava come una cappa oppressiva che ottundeva perfino i pensieri. Tutto era ovattato, silenzioso, invisibile: come se il tempo si fosse fermato. Smontammo il bivacco e attendemmo speranzosi che quella bruma lattiginosa prima o poi si levasse. Quella situazione sospesa aveva un gusto intenso d’avventura ai confini del mondo. Intorno alle undici la visibilità tornò accettabile e cominciammo la discesa. Tornati a valle raggiungemmo a piedi Oltre il Colle: avevamo l’aspetto vissuto di reduci di guerra. Ghigo, nell’attesa di ripartire, ci offrì da bere presso l’osteria della Berta: da queste parti ogni escursione degna di questo nome doveva concludersi con la visita a questa ubertosa figlia delle valli. Nel pomeriggio riprendemmo la corriera e tornammo verso casa. Stefano, dopo neanche dieci minuti di viaggio, si addormentò di schianto e cominciò a respirare a bocca spalancata, perdendo completamente il controllo di se. Reclinato il capo da un lato, cominciò a sbavare in una maniera oscena, imbrattandosi senza ritegno. Accanto a noi sedevano delle ragazze che assistevano alla scena inorridite. Nessuno di noialtri pensò di svegliarlo per porre fine a quello scempio. Al contrario, non facevamo che riderne a crepapelle. Quando il nostro ad una svolta secca della strada si riebbe, si accorse di avere tutti gli occhi dei passeggeri tragicamente puntati a dosso. Alle nostre risate insolenti e sguaiate oppose solo un dignitosissimo “stronzi”, e si riaddormentò emettendo un impercettibile rutto. A lungo mi chiesi, senza una risposta, se quel nostro comportamento potesse ancora definirsi amicizia? Oggi, a distanza di anni sento di poter rispondere in maniera affermativa. A mio avviso non bisogna mai perdere l’occasione per farsi una sana risata. Bisogna saper ridere di tutto, anche e soprattutto di noi stessi: l’amicizia infondo è fatta anche di confronti, scontri, prese in giro, a volte anche feroci. Fa parte del gioco e aiuta a crescere. Sono giunto a questa conclusione riflettendo su di un episodio che ha visto protagonista mio fratello: un giorno ero al supermarket con lui. Presso un banchetto di una marca di cibo per cani distribuivano in omaggio magliette con l’effige di Rex, il pastore tedesco della fiction televisiva. Siccome conosco mio fratello e so che non ha mai visto quel programma gli dico: «Belle quelle magliette: perché non chiedi se ne hanno una anche col boxer?». Egli si è intrufolato nella ressa e quando ha fatto la domanda, la signorina dietro al bancone l’ha guardato come se fosse un marziano appena sceso dalla navicella.

(Il Cialtrone, 2012)

Fonte: http://www.skuola.net/viaggi-maturita/viaggio-sogno-amici-scuola.html

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