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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 15 luglio 2013

Fiume Sand Creek

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura/sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura/fu un generale di vent’anni occhi turchini e giacca uguale/fu un generale di vent’anni figlio d’un temporale/c’è un dollaro d’argento sul fondo del Sand Creek.
Così comincia la canzone di Fabrizio De Andrè, Fiume Sand Creek, pubblicata nell’81. Il testo racconta del massacro compiuto ai danni di inermi e pacifici pellerossa, da parte di un reparto di cavalleria (circa 800 uomini), agli ordini del colonnello John Chivington. La mattina del 29 novembre 1864, all’alba, i cavalleggeri in giacca blu circondarono l’accampamento dove si trovavano circa 500 indiani delle tribù Cheyenne e Arapaho, e li trucidarono senza pietà. De Andrè scrive “I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte…”, ed effettivamente così andò. Quando Chivington decise di attaccare, i guerrieri indiani erano lontani dalle loro famiglie, impegnati nella ricerca di cibo. E al contempo sicuri di non dover temere nulla dall’uomo bianco: il trattato di Fort Wise del 1861 dichiarava il territorio di Sand Creek, Colorado, luogo protetto dai combattimenti delle guerre indiane. E invece quel giorno si doveva compiere uno degli atti più infami della storia degli Stati Uniti d’America. Qualche anno prima, a causa della corsa all’oro, migliaia e migliaia di coloni si erano riversati nei territori del nord-ovest, causando inevitabilmente la reazione delle popolazioni locali. Come conseguenza, l’esercito mise in atto una feroce repressione ai danni dei nativi. Una volta vinti, gli indiani accettarono di essere rinchiusi nelle riserve, luoghi in cui, in cambio della libertà, ricevevano protezione e sussistenza da parte dello Stato americano (almeno sulla carta). Il tutto avvenne sottoscrivendo trattati solenni alla presenza dei Capi delle Nazioni indiane e dei rappresentanti del Governo. In quei giorni di novembre tuttavia, così come doveva accadere tante altre volte, gli accordi non furono rispettati e dopo la carica della cavalleria rimasero sul campo tra 150 e 184 Cheyenne. Tra questi vennero rinvenuti anche Antilope Bianca, Occhio Solo e Copricapo di Guerra, i capi tribù. La maggior parte delle vittime furono donne, bambini e anziani. Moltissimi di costoro furono orrendamente mutilati. La stampa in un primo momento magnificò l’impresa dei cavalleggeri, ma già dopo qualche giorno la verità cominciò ad emergere. Vennero aperte un paio d’indagini conoscitive. Il Comitato di Condotta della Guerra sentenziò: «Per quanto riguarda il Colonnello Chivington […] ha deliberatamente organizzato ed eseguito un folle e vile massacro in cui numerose sono state le vittime della sua crudeltà. Egli conoscendo chiaramente la cordialità del loro carattere, avendo egli stesso in un certo senso tentato di porre le vittime in una condizione di fittizia sicurezza, ha sfruttato l’assenza di alcun tipo di difesa e la loro convinzione di sentirsi sicuri per potere gratificare la peggiore passione che abbia mai attraversato il cuore di un uomo. Qualunque peso tutto questo abbia avuto sul Colonnello Chivington, la verità è che ha sorpreso e assassinato, a sangue freddo, inaspettatamente uomini, donne e bambini, i quali avevano tutte le ragioni per credere di essere sotto la protezione delle autorità statunitensi, e poi ritornando a Denver si è vantato dell’azione coraggiosa che lui e gli uomini sotto il suo comando hanno eseguito. In conclusione questo comitato è dell’opinione che al fine di vendicare la causa di giustizia e mantenere l’onore della nazione, pronte e rigorose misure debbano essere adottate per rimuovere chiunque avesse così vilipeso il governo presso cui sono impiegati, e di punire, adeguatamente al crimine commesso, coloro che sono colpevoli di questi atti brutali e codardi». È appena il caso di ricordare che, a fronte di un tale sconvolgente atto di accusa, i responsabili del massacro non furono mai perseguiti.
Ora, a distanza di 149 anni, quattro discendenti delle vittime pellerossa, hanno deciso di fare causa al Governo degli Stati Uniti per ottenere “i giusti risarcimenti per gli atti di genocidio, tortura, mutilazione, abuso e intimidazione” compiuti a Sand Creek”. A darne notizia è il Denver Post di giovedì scorso. I querelanti, tra l’altro, nell’atto di citazione hanno richiamato una promessa “solenne” fatta dal Governo Federale alle stesse tribù, nel 1866, nella quale si ammettevano i torti e si stanziavano terre e contanti a favore dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime. “Gli Stati Uniti riconobbero le atrocità commesse e si impegnarono a versare dei risarcimenti alle vittime, ma questo non è mai avvenuto”. E così ora i discendenti delle vittime chiedono che finalmente, gli Stati Uniti onorino quella promessa e rifondano i danni già allora stanziati e mai consegnati (se non in minima parte) alle popolazioni vittime della crudeltà dell’uomo bianco. È assai probabile che la causa intentata si trasformi presto in una “class action”, così che tutti i discendenti delle tribù Cheyenne e Arapaho (circa 15 mila) possano trovare giustizia.
Io spero che un giorno gli Stati Uniti trovino il coraggio di rinnegare definitivamente questa tragica vicenda e provvedano a risarcire il male commesso. Se vi è un briciolo di orgoglio e dignità nelle vene dei governanti di Washington, tutto ciò non potrà che avverarsi. Ho ancora un altro sogno, ma temo che non riuscirò mai a vederlo realizzato: che il “popolo degli uomini” torni un giorno a solcare le grandi terre come facevano un tempo i loro antenati. Liberi come il vento, padroni del loro destino.

Fonte:   http://www.denverpost.com/breakingnews/ci_23642176/sand-creek-massacre-descendants-sue-federal-government-reparations

Leggi anche: http://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Sand_Creek

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