Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 28 giugno 2013

Orwell c’aveva preso…!

Fino a qualche decennio fa, le aziende produttrici di beni e servizi, per valutare il gradimento della loro offerta alla clientela, oltre al riscontro vendite, usavano metodi tradizionali e consolidati da tempo: nel settore alimentare c’erano per esempio gli assaggiatori professionisti (in Fracchia la belva umana il protagonista, dopo essere stato degradato sul campo, viene assegnato all’ufficio assaggi: «Ora lei assaggia il “sempliciotto” e mi dice com’è…»), in quello manifatturiero si dava ascolto alle opinioni di maestranze e artigiani, in quello tessile ai sarti e così via. Persone che operavano sul campo, insomma. Col tempo poi gli imprenditori hanno capito che per aver una copertura più precisa e razionale dell’opinione pubblica andavano utilizzati strumenti più sofisticati. E così sono cominciati a spuntare sulla scena interviste, ricerche di mercato, sondaggi e altre metodologie di analisi settoriale più specifiche. Con l’avvento poi della rivoluzione informatica prima e dei social network dopo, tutto il mondo così come lo avevamo conosciuto da sempre è cambiato. Ognuno oggi è libero di esprimere la propria opinione e di condividerla con tutto il resto del pianeta. Da ciò ne deriva un immenso caleidoscopio sul quale le aziende possono affacciarsi per intercettare mode, tendenze, preferenze e opinioni sul proprio target, e dunque, in ultima analisi, business. Ormai da tempo infatti, nel mondo del marketing e della comunicazione, si è acceso un riflettore su questo settore, e conseguentemente si è sviluppata una tecnologia in grado di analizzare i flussi d’opinione. La cosiddetta sentiment analysis è una tecnica in grado di studiare le conversazioni che avvengono sul web su un determinato argomento, in modo tale da stabilire l’umore degli utenti dei social network, dei blogger o comunque di tutti coloro che navigano e interagiscono su internet. Una sorta di Grande Fratello informatico di orwelliana memoria. L’importanza di tale strumento è data dal fatto che le opinioni vengono espresse liberamente su ciò che si vuole, senza paletti e strettoie. Ovvero ciò che, per forza di cose, si ritrova nei sondaggi classici: “Chi butti giù dalla torre, il Silvio o il Professore”. E se puta caso mi va di fare il nome del piccolo Renato? Niente, tertium non datur. La sentiment analysis in altre parole è un osservatorio permanente sulle opinioni espresse in rete. Una volta raccolti i dati si inseriscono in un cervellone elettronico e questo, seguendo scrupolose metodologie statistiche, sforna il risultato definitivo del trend. Tra l’altro questa metodologia investigativa costa meno dei sondaggi, è più rapida e pare anche più precisa. Non per nulla analizzando i rumors della rete, alcune società che applicano questa tecnica hanno centrato in pieno l’esito delle elezioni americane, quelle francesi, le primarie del centrosinistra, il podio di Sanremo o il tema della maturità. E pare anche il nome del nuovo Papa. Ma la scienza e dunque la tecnologia, non si fermano mai, come si sa, e così anche la sentiment analysis da oggi ha una nuova applicazione: quella telefonica. Analizzando le conversazioni tra operatori di call center aziendali e clienti, un programma è in grado di rielaborazione e dunque classificare parole, significati sottesi, espressioni vocali, emozioni, toni e tensioni della voce. E tutto ciò permette alle aziende di conoscere il livello di soddisfazione dei propri cliente e quindi di agire di conseguenza. Un ulteriore passo in avanti rispetto alle vecchie analisi di mercato. Fa impressione sapere che dietro a tutti i nostri comportamenti ci sono persone che studiano, elaborano strategie, preparano piani, inventano nuove tattiche comunicative: il tutto al fine di vendere qualche prodotto in più. La tecnologia si è spinta talmente tanto in avanti che ormai i computer sono in grado di leggere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre sensazioni. Basta un sospiro, una pausa, un’intonazione di voce per finire classificato dentro un database insieme ad altri milioni di persone. Con buona pace della tanto sbandierata difesa della privacy. Qualche tempo fa un mio amico di Roma finì a lavorare per un’azienda di trasporti dell’Agro Pontino. Tra le sue pochissime vere passioni, oltre alla fotografia, c’è l’attaccamento alla Magica, la formazione di calcio della Capitale. Venne assunto come operatore di call center: ogni giorno doveva fare non meno di tre, quattromila telefonate per acquisire clienti. E la percentuale di successi era di circa uno su mille. Una frustrazione spaventosa. Nella maggior parte dei casi - mi raccontava - le persone che rispondevano erano talmente stizzite per le continue seccature telefoniche che neanche gli facevano dire mezza parola: «No guardi, non m’interessa…». Al che egli ribatteva: «Ma scusi, manco le ho detto di che si tratta, già dice “non m’interessa”…?». La società per la quale lavorava peraltro si chiamava Laziale Traslochi e quando egli chiamava i potenziali clienti - tutti per lo più dell’Urbe - questi rispondevano quasi sempre: “Laziale? Aho, ma io so’ d’à Roma…!”. Ed egli a quella facezia ribatteva: “Embe’? Pur’io so d’à Roma… e che vor dì? La società se chiama così, ma che ce posso fa’…?”. Fatto sta che resse poco più di sei mesi in quel posto. Preferì andare a fare il gelataio. Se nella sua azienda avessero applicato il metodo del sentiment analysis, chissà che ne sarebbe venuto fuori? Facendo un paragone mi viene in mente quello che il commercialista di Codogno disse a Maurizio Milani, suo cliente: “Qui l’unica cosa da fare è andare dalla Finanza e dire che si è rotto un tubo della fogna e i libri contabili sono andati persi…”.

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