Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 26 aprile 2013

Una tranquilla giornata di liberazione

E così, mercoledì sera mi ha chiamato Leo: «Uhe…, domani è il 25 aprile…! Facciamo qualcosa?». Lì per lì non sapevo cosa rispondergli, anche perché, date le previsioni meteorologiche inclementi (oh…, adesso ci azzeccano sempre…, li mortacci loro: ndr), non avevo programmato nulla. E nell’attesa che io rispondessi qualcosa, Leo, quasi insofferente alla mia indecisione, ha aggiunto: «Non s’era detto che s’andava al Lago di Garda…?». A quel punto sono uscito all’improvviso dal mio torpore: «Ah già, hai ragione. Che si fa, andiamo? Sento gli altri e poi ti do conferma». Breve giro di telefonate, programma di massima e via libera. A tarda sera, mentre Benigni si congeda dal pubblico declamando gli ultimi versi del XXII Canto dell’Inferno (“…porser li uncini verso li impaniati, ch’eran già cotti dentro de la crosta; e noi lasciammo lor così ‘mpacciati”), mi arriva un messaggio sul telefonino. È Leo: “Ciò (sic) riflettuto bene: preferisco andare in manifestazione. Stammi bene”. Privati del nostro ispiratore ci siamo dati appuntamento a Desenzano del Garda per la mattina seguente. L’idea era di raggiungere Gardone Riviera (con annessa visita al Vittoriale), e poi spostarci verso Salò per una breve escursione sulle colline (Monte San Bartolomeo). A Desenzano però, la sorpresa: non c’è alcuna corriera fino alle 13.30. A quel punto il programma salta e si decide di ripiegare su Sirmione. Giovanna, Elena C. ed io, attraversiamo la cittadina - affollata di manifestanti per la Festa della Liberazione - e c’incamminiamo verso la destinazione seguendo il lungolago. Roberto ed Elena R., ci raggiungeranno in automobile. Sempre che riescano prima a districarsi dal traffico, feroce fin da Bergamo. La passeggiata, si rivela più lunga del previsto (oltre 10 chilometri) e purtroppo si dipana quasi esclusivamente lungo la statale. Sul lungolago infatti, ci sono ville e giardini dei ricchi signori e il passaggio dei pedoni è precluso. La cosa è davvero irritante: possibile che lo Stato non possa e non debba ritagliarsi una minuscola striscia di terra demaniale lungo le sponde, per far passeggiare i propri cittadini? Possibile che la bellezza della natura debba essere preclusa a così tanta parte degli italiani? Ad ogni modo, dopo un paio d’ore di strenuo cammino e una discreta quantità di ostacoli superati non sempre agevolmente (nugoli di moscerini in località lido di Rivoltella, scavalcamento di recinzioni e superamento di argini) arriviamo a Colombare, località che segna l’inizio della penisola di Sirmione. Contatto Roberto per chiedergli a che punto sono. Mi dice che sono all’imbarcadero e che ci aspettano là. Come punto di riferimento mi da il monumento all’aviatore. Stremati arriviamo al Castello di Sirmione. C’è una gran folla, tedeschi e russi in abbondanza. C’è un incredibile via vai di automobili che varcando le mura scaligere, entrano nel centro storico. Mi scopro nuovamente ad arrabbiarmi per quest’orrore: possibile che almeno qui, in questo budello medievale, non si possa fare a meno dell’automobile? Chiedo ad un viglie di questo fantomatico monumento all'aviatore e questi mi fissa come se fossi un marziano appena sceso dalla navicella. Richiamo Roberto: «Oh, noi siamo arrivati al Castello. Dove siete?». «Castello? Quale castello? - risponde Roberto allarmato - Qui non c’è nessun castello…». Come volevasi dimostrare, non ci siamo assolutamente intesi. Roberto ed Elena R. sono ancora a Desenzano. A quel punto, dopo le più che doverose accuse reciproche (“ma non capisci un… beep”; “sei il solito… beep”; “va be’, va be’, fai un po’ come… beep ti pare…”) ci diamo appuntamento per il primo pomeriggio. Ci raggiungeranno col traghetto. Nel frattempo noi tre facciamo un giro per il centro. È ora di pranzo e uno spuntino sarebbe più che lecito e auspicabile. La folla tuttavia è tale che non è umanamente pensabile cercare posto in un ristorante. Ripieghiamo su un gelato maxi, che come si sa, oltre ad essere opzione alquanto economica, è alimento capace di sostituire quasi integralmente un pasto. La dolce gelataia mi chiede quanti gusti desideri. Rispondo: cioccolato bianco, fiordilatte, limone. Mi guarda perplessa e fa: «Tutto monocolore?». E io: «Si, ho deciso. Non sono pronto per un rapporto onesto e maturo…». Al che mi mette in mano un cono mostruoso, pesante non meno di otto etti buoni. Capisco subito di essere di fronte ad un’impresa quasi impossibile e già pavento la possibilità di terminare la vicenda in maniera ignominiosa. Tipo quella volta che Leo se n’andava in giro per Venezia, sbrodolandosi stracciatella e zabaione lungo l’intero avambraccio. Mi metto subito d’impegno, cacciando dalla bocca venti centimetri di lingua ogni due secondi e mezzo. La gente mi guarda inorridita. Ci muoviamo verso la sponda settentrionale del lago. Qui, dopo un’avventurosa attraversata lungo una passerella invasa a tratti dalle onde, ci sediamo in contemplazione delle placide acque. Io sono sempre alle prese con il mio orribile cono. Dai e ridai, alla fine riesco a vincerne le resistenze, non senza peraltro avvertire un senso di nausea e gonfiore da alcolizzato cronico. Dal lido ci inoltriamo verso l’interno e a un di presso (come dice Manzoni), raggiungiamo le Grotte di Catullo. Che per inciso, non sono grotte. Sulla spianata che degrada verso il lago, ci sono centinaia di frondose piante d’ulivo e tutt'intorno si spande un sottile profumo di cedro e limoni. La stanchezza e la necessità di aspettare Roberto ed Elena R., ci inducono al riposo. Un leggero venticello profumato di infiorescenze primaverili ed essenze lacustri a tratti concilia il sonno.
E finalmente il gruppo, al termine di una rincorsa spasmodica, si riunisce. Roberto è rosso in faccia per il sole e sembra un po’ provato dalla fatica; indossa tra l’altro una elegantissima camicia rosa con spalline, stemmini e ghirigori vari. Elena R. invece è loquace e spumeggiante come al solito. A quel punto cominciamo la visita delle Grotte di Catullo. In realtà, come detto, non si tratta di grotte, ma dei resti di un’immensa villa romana risalente al primo secolo a.C. Gli scavi si estendono su una superficie enorme e appaiono maestosi e in alcuni punti, assai ben tenuti. Gli archi, le volte, le strutture murarie sono ciclopiche e dimostrano tutta la grandezza raggiunta da questi nostri antenati. È un luogo meraviglioso, immerso nella quiete degli ulivi e spettatore di vedute montane, ancora imbiancate dalla neve. Ed anche i turisti si uniformano a quest’atmosfera: non uno schiamazzo, non un urlo o voce sostenuta. Pare quasi che qui si entri in punta di piedi. Colpisce pensare che in questo luogo vi abbia soggiornato davvero l’autore di Odi et amo. Chissà quanti carmi avrà composto rimirando questi panorami. E ancor di più stupisce che a quell’epoca una tale bellezza fosse appannaggio di pochissimi.
Si è fatto tardi: Roberto ed Elena R. si trattengono ancora qualche ora qui; noialtri ci affrettiamo verso il battello. Lungo il vialetto che conduce all’imbarcadero ci sono un paio di alberghi a quattro stelle: dalle recinsioni esterne s’intravedono bagnanti immersi in piscine con idromassaggio e acqua riscaldata. Sono i ricchi che si concedono i piaceri legati alla loro condizione di privilegiati. Per tutti gli altri c’è una rincorsa spasmodica verso un posto sul traghetto, pigiati come sardine e speranzosi di riuscire a prendere al volo il treno regionale del ritorno - senza posto a sedere - . Ed è solo grazie al ritardo accumulato da uno di questi, mai così gradito peraltro, che Giovanna ed io riusciamo a prendere la via di casa. Elena C., al contrario, arriverà a casa poco prima di mezzanotte.
Ma che bella giornata di sole/Quanta gente per le strade nuove/Quanti treni alla stazione/Ma per tornare a casa/E la chiamano liberazione/Questa giornata senza morti/Questo profumo di limoni/Giù per le strade”.
Così canta Antonello Venditti. Ed è la giusta chiosa di questa giornata.

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