Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 7 marzo 2013

Oh mamma, che ansia la guida

Ieri ci siamo occupati della Milano di un tempo, quella orami consegnata agli archivi fotografici, purtroppo. Una realtà in cui le chiassose e mefitiche automobili non avevano ancora fatto la loro nefasta comparsa sulle strade cittadine. Oggi al contrario le nostre metropoli sono studiate e progettate quasi esclusivamente in funzione di automobile. Viabilità, parcheggi, corsie preferenziali, semafori intelligenti, rotatorie alla francese, tutto ruota intorno all’unico, amatissimo bene cui le persone tengono veramente: la macchina. Gaber ha scritto delle parole immortali sull’affetto maniacale che spesso lega proprietario e automobile: “E quando magari la domenica, prendi la tua bella macchina, e te la porti in un prato e nel prato sei lì tu e lei, soli. E te la lavi, e te la asciughi. Oh mamma!” (Oh Mama!, 1991). Eppure, nonostante questo enorme passione per le quattro ruote, pare che gli italiani nutrano una certa qual inquietudine ogni volta che poggiano le loro nobili terga nell’abitacolo. E ciò a dispetto del tanto decantato cliché nazionale che vorrebbe tutti gli autisti fieri e aggressivi, trasgressivi e arroganti, modello Vittorio Gassman ne Il Sorpasso. Da un’indagine realizzata dal Centro studi e documentazione di Direct Line, la compagnia di assicurazioni on line, emergerebbe che ben il 91 per cento degli intervistati ha confessato di avere piccole ansie e paure legate alla guida. E come dar loro torto, verrebbe da dire. La strada, come tutti sanno, è una giungla spaventosa, e solo i più forti sono destinati a sopravvivere. D’altra parte, quando sulla medesima viabilità ci sono suv da due tonnellate e mezzo e minicar in latta leggera, la parola “sicurezza” non può che essere declinata nell’unica versione logica degna di questo nome: “Si salvi chi può”. Ma andiamo avanti: più della metà degli intervistati (56 per cento) si dichiara intimorito dall’idea di investire senza volerlo un pedone. Purtroppo questo spaventoso fenomeno è diventato un conteggio ragionieristico di cronaca quotidiana: ogni giorno sulle strade italiane muoiono due pedoni, più di seicento ogni anno finiscono sotto le ruote di una macchina che va troppo forte, non rispetta la segnaletica, o è guidata da un ubriaco (dati Aci-Istat). Devo ammettere che anch’io soffro leggermente di questa paura, ma nel mio caso c’è una ragione. Appena patentato, cominciai subito a scorrazzare spavaldamente con l’automobile di mio padre: dalla scuola alle uscite notturne era tutto un divertimento ad alta velocità. Una sera ricordo che stavo andando con amici al solito pub. Ridevamo come matti, inebriati dal senso di libertà che ci forniva quella berlinetta. Ad un tratto, davanti al muso della vettura, comparve una donna con un passeggino intenta ad attraversare le strisce pedonali di via Rovani. Riuscii ad evitare la strage per un soffio. Per lunghi attimi restammo tutti in silenzio: avevo il cuore che batteva a mille. Ecco, da allora questo è il mio incubo ricorrente e oggi credo di essere uno dei pochissimi esseri viventi in Italia a fermarsi per far attraversare i pedoni sulle strisce, anche al costo di ricevere strombazzate selvagge alle spalle, associate al segno convenzionale del coniuge tradito.
Ma tornando alla ricerca, pare che tre automobilisti su dieci temano la guida degli altri, in particolare la scorrettezza, la distrazione – soprattutto per via del cellulare – e la velocità. E la qual cosa non è affatto un male, anzi. In gergo tecnico tale comportamente viene definito “guida difensiva”. Sempre tornando alle esperienze personali, quando ero più giovane ragionavo da vero incosciente: “Se ho la precedenza, vado”. Ecco, se avessi assunto al contrario un atteggiamento più prudente, forse avrei evitato il pirata della strada che, bevendosi un semaforo rosso sulla “paullese”, mi centrò in pieno mandandomi all’ospedale con un trauma cranico e una decina di punti, interni ed esterni, sulla fronte.
E che dire del rapporto delle donne con le automobili? Sento già che qualcuno se la ride, ma credetemi, non è proprio il caso. A conferma dei sondaggi fatti in passato, la ricerca rileva che il gentil sesso (62 per cento) è più attento e rispettoso delle norme stradali rispetto agli automobilisti di sesso maschile. Qualche anno fa una ricerca australiana, condotta da una delle maggiori società di assicurazione auto, la Aami, rivelò che, in base ai dati delle denunce di sinistro, gli incidenti degli uomini tendevano ad essere più gravi (scontri frontali, ribaltamenti e incidenti causati da perdita di controllo, collisioni con pedoni, ciclisti e animali), mentre le donne erano causa di incidenti molto più lievi (tipo la classica marcia indietro contro oggetti fermi). Ok, ora potete anche ridere. “La consapevolezza di sé e la responsabilità sociale tendono a essere più pronunciate fra le donne – sostiene lo psicologo John Cheetham, intervistato dalla radio Abc – mentre gli uomini sono biologicamente più aggressivi, più impazienti e più portati a oltrepassare i limiti”. Quando ero bambino, spesso passavo del tempo alla finestra della mia camera da letto ad osservare la strada. Soprattutto quando ero ammalato e stavo a casa da scuola. Un giorno ricordo che ero al davanzale con mio padre, quando la nostra attenzione venne rapita dalle manovre impacciate di una donna impegnatissima a parcheggiare l’automobile. E dire che di spazio ne aveva anche in abbondanza. Mio padre cominciò a ridere come un matto e io dietro a lui. La poveretta entrava in retromarcia, sterzava, controsterzava e poi usciva. Si riallineava e ricominciava: stessa solfa. Non c’era niente da fare. Poi ad un tratto si intuì un contatto tra paraurti: la donna scese, andò a constatare cos’era accaduto, passò con nonchalance un dito sulla strisciata dell’altra vettura e si rimise in macchina. E il tutto riprese con effetti ancora più esilaranti. Quando dopo circa una mezzoretta buona la sventurata riuscì finalmente a parcheggiare l’auto, mio padre aprì di botto la finestra è applaudendo forte gridò: “Bravaaaa”. È da allora che ho cominciato ad avere poca stima delle donne al volante. Stima ulteriormente calata quando udii una coppia di amici litigare su argomento similare. Lei: «Ah guarda, io guido poco, ma non ho avuto mai alcun problema». Lui: «Eccerto…, ieri hai usato la mia macchina un paio d’ore: una foratura e due multe. Ma fammi il piacere…».
Ma a creare timori fra gli automobilisti ci sono anche i fenomeni atmosferici: ghiaccio sulla strada (38%), nebbia (32%) e neve (10%). Sempre tornando ai miei ricordi, una volta andai con amici in una discoteca dell’hinterland milanese. Quando a tarda notte uscimmo, c’era un buon trenta centimetri di neve. E a quell’epoca non esistevano certo gomme termiche o obblighi di catene a bordo. Tornando a casa presi una stramaledetta curva a non più di venti chilometri all’ora e, come per incanto, l’automobile cominciò ad andarsene per conto suo. Provai a frenare, a controsterzare: niente. Feci un fantastico doppio filotto reale ritornato contro le altre autovetture parcheggiate lungo il marciapiede. Al mattino dopo raccontai tutto a mio padre e aggiunsi biecamente: «Si però, per dirla tutta…, non mi ha visto nessuno…». Tempo dieci minuti ero per strada con lui a mettere bigliettini sui parabrezza delle auto sinistrate: “Sono l’autore del danno arrecato involontariamente alla sua vettura: mi contatti al numero XXX per la constatazione amichevole. Cordialità”.
E per terminare una piccola annotazione geografica: i più sicuri al volante sono milanesi e torinesi (32 e 31 per cento), mentre palermitani e fiorentini (15 e 14 per cento) confessano di essere abbastanza insicuri alla guida a causa del comportamento altrui. Mi stupisce quest’ultimo dato: pensavo che tra i più angosciati vi fossero i napoletani, visto il caos viabilistico in cui giace la città. Una volta un amico mi raccontò un episodio che la dice lunga sul senso dell’houmor che hanno i partenopei in merito a tale problema. Quel giorno lui e il padre dovevano fare un’escursione su per la scogliera amalfitana e il mio amico, ancora bambino, a lui così si rivolse: «Papà, ma sarà pericolosa sta camminata?». E il padre: «Guagliò, qua l’unico pericolo vero che corriamo è l’attraversamento a piedi di Piazza Càvour» (con l’accento rigorosamente sulla “a”).
Poi però mi è venuto in mente un brano di Napoli siamo noi, di Giorgio Bocca, e ho capito tutto: “Le automobili napoletane possiedono una sorta di guida automatica per cui vanno diritte contro un’altra, ma si fermano a cinque centimetri e si disincagliano come se il guidatore le sollevasse sopra il groviglio. La soddisfazione di quelli che vanno in motorino passando dentro gli intrecci metallici, scavalcando le auto, spintonando i rari pedoni, si manifesta in gai suoni di clacson o di trombette, anche loro sincopati, perché l’avviso rapido deve bastare. E questo modo di spostarsi nel centro della città non è una tortura, ma un piacere”.
Scrivo queste parole e m’immagino l’espressione del burbero sabaudo chiuso dentro quel taxi immerso “nel ventre di Napoli dove tutto non si può e poi si può”. Ciao Giorgio, ci manchi.

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