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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

mercoledì 27 febbraio 2013

Wild West: l’America dei Pionieri

Loup Valley, Nebraska, 1886
Lunedì scorso a Milano ha aperto al pubblico la mostra fotografica intitolata Wild West. 1861 - 1912: l’America dei Pionieri. Si tratta di 55 riproduzioni digitali di antiche fotografie conservate presso i National Archives degli Stati Uniti. Sono immagini rare che ritraggono cowboy a cavallo, pistoleri, cavalleggeri nelle sterminate praterie del nord-ovest, sceriffi, pionieri su carriaggi sgangherati. In una parola l’epopea del selvaggio west. Ci sono i cowboy della Aztec & Cattle Company di Holbrook, nei Territori dell’Arizona (1877), ritratti in posizione spavalda, con i cappelli a larghe tese e le mani sul cinturone; e poi il gruppetto di sceriffi di Dodge City, Kansas, tra cui spunta lo sguardo tenebroso di Wyatt Earp, l’eroico protagonista della sfida all’O.K. Corral, resa immortale da svariate pellicole cinematografiche; e ancora la colonna di cavalleria del Generale George A. Custer mentre attraversa per l’ultima volta, prima del massacro, le pianure del Territorio del Dakota, durante la spedizione militare delle Black Hills (1874). Ma, al di là della leggenda del west, che inevitabilmente s’intreccia con la realtà, le immagini che colpiscono di più sono quelle che ritraggono le persone comuni, le famiglie. In una fotografia del 1895, scattata nella Contea di Woods, Oklahoma, si vede un gruppo di bambini con la loro insegnante davanti a una baracca fatta di assi di legno e zolle di terra: la loro scuola. In campo lungo una prateria sterminata, brulla e tetra. Dall’abbigliamento indossato si potrebbe presumere che fosse autunno inoltrato. Quelli ritratti sono i figli dei pionieri, i figli dei contadini che, dopo infinite peripezie, hanno raggiunto la terra promessa. Osservandoli bene, ci si accorge che non hanno tutti la stessa età: ordinati su tre file, ci sono adolescenti (maschi e femmine insieme) e bambini di non più di cinque o sei anni. Hanno tutti un bell’aspetto - ben nutriti e in salute - e molti si assomigliano tra di loro: sicuramente ci sono fratelli e sorelle. Ma non sorride nessuno. Anzi, per dirla tutta, qualcuno ha proprio l’espressione imbronciata. Al che ho pensato: “Certo non è che avessero molto da sorridere in quelle condizioni”. Poi però ho recuperato una vecchia foto di quando andavo alle scuole elementari e mi sono reso conto che neanche lì c’era il minimo sorriso. Evidentemente, in ogni epoca, la foto di classe è sempre stata una sorta di tortura. Ma scorrendo il catalogo ci sono anche altre immagini molto significative: una famiglia posa davanti al tipico carro coperto dal telo bianco, utilizzato durante l’avventurosa migrazione verso il west (Loup Valley, Nebraska, 1886). Due ronzini, uno bianco e l’altro nero; il capofamiglia, grande e grosso e con una lunga e folta barba nera (come usava in quei tempi); la moglie, una donnetta minuta con capelli raccolti in una coda di cavallo e un abito a righe lungo fino ai piedi; il figlio maggiore, stessa corporatura del padre, giubba scura abbottonata e cartucciera da fucile alla vita; figlia piccola, non più di cinque anni, sul carro. Sul carro un fucile, dei panni, alcune lenzuola e qualche pentolino. Nient’altro. Fa impressione pensare a quanto coraggio ci volesse per abbandonare un luogo civilizzato per inoltrarsi nel nulla, in una sconfinata prateria in cui per centinaia di miglia non vi era alcuna traccia di esseri umani. Salvo i feroci e sanguinari “pellerossa”, come si sosteneva fino a qualche decennio fa. E viene da chiedersi che sorte sarà toccata a questa famiglia, che ne sarà stata della loro esistenza? Avranno raggiunto la meta che si erano prefissati, avranno trovato un luogo dove vivere? Non lo sapremo mai. E poi c’è la foto di un gruppo di prigionieri della tribù dei Crow, scattata nella loro riserva del Montana (1887). Circondati da soldati in blu armati fino ai denti, posano avvolti nelle coperte fornite “benignamente” dall’uomo bianco, mostrando ancora l’antica armonia e fierezza del tempo in cui erano un popolo libero e padrone della propria terra. Adorni di lunghe trecce nere ed eleganti collane d’osso, fissano l’obiettivo con sguardi seri, eppure privi di rancore, sconfitti eppure non rassegnati. I loro carcerieri invece appaiono tronfi, spietati, come se posassero davanti alla macchina fotografica al termine di una battuta di caccia nella savana. Per l’occasione indossano perfino i guanti bianchi.
Oggi, al cospetto delle nostre meschine faccende elettorali, questo mondo perduto ci appare lontanissimo e quasi fiabesco. Eppure è passato poco più di un secolo dalla conquista della “frontiera”. Abbandonare tutto e salire su un carro diretti verso l’ignoto: chi di noi oggi farebbe una scelta di questo genere? Chi si arrischierebbe un viaggio di sola andata in una terra in cui mancava tutto e tutto era da inventare e costruire? Niente cibo pronto, nessun ospedale, né forze dell’ordine a cui chiedere protezione da “selvaggi” e briganti. Niente di niente. Solo una landa sconfinata da conquistare e dissodare a forza di braccia. Un’impresa al cui cospetto, l’emigrazione per lavoro degli anni ’60 è una bazzecola. Eppure, nonostante tutto questo, il fascino del selvaggio west resta immutabile. E ancor di più prende forza se lo confrontiamo con i nostri tempi, la nostra epoca priva di stupore e colma di disillusione e di routine angosciante. Oggi la nostra esistenza è scandita a tappe fisse, è un lento e scontato susseguirsi di avvenimenti per lo più insulsi e immutabili che ci portano dalla culla alla vecchiaia. Scuola, lavoro, ferie, vacanze estive, dibattiti televisivi. Un grigiore noioso e sconfortante. Quarant’anni di ufficio in attesa della pensione, quando va bene, stroncherebbero anche un rinoceronte. Ecco a cos’è ridotta la nostra vita. E dunque siamo sicuri veramente di non invidiare almeno un po’ quei pionieri su quel carro sgangherato diretto verso l’avventura? Christopher McCandless, il protagonista del film Into the wild scriveva “C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura”. Perché infondo, in quest’assurdo mondo fatto di sicurezza e razionalismo, l’ignoto e il mistero, rappresentano per l’uomo ancora l’unico cibo capace di dare gusto all’esistenza.
wild-west-1861-1912: informazioni

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