Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 18 febbraio 2013

Ma senza cantanti non verrebbe meglio?

Allora lo ammetto, mi dichiaro colpevole e mi appello alla clemenza della corte: sono tra coloro che hanno visto il Festival di Sanremo. Certo non in versione integrale, ovviamente, quello credo sia toccato solo a qualche sfortunato tapino, malaugurata-mente capitato sotto le grinfie della giustizia creativa: ora vanno tanto di moda le pene alternative al carcere. Erano anni che non guardavo questo evento in tv, diciamo dai tempi di Claudio Villa e dei Duran Duran (chi non ricorda la memorabile Wild Boys?), e tutto sommato non ne sentivo la mancanza. E non per quello snobbismo razzista tipico di coloro che, per partito preso rifiutano a prescindere tutto ciò che è “popolare”, o meglio “nazional-popolare”, ma perché mi ha sempre dato l’idea di una manifestazione improntata alla mediocrità, riservata ad artisti di rincalzo, di seconda o terza linea. Non per niente quando si parla del Festival, si usa sempre l’espressio-ne “canzonette”. Perché mai, mi chiedevo con un pizzico di rabbia, dobbiamo sorbirci ogni anno i vari Al Bano, Bobby Solo, Fiordaliso e “compagnia cantante”, e non, per esempio De Andrè, Guccini o Paolo Conte. La risposta è presto detta: perché questi ultimi, a differenza degli altri, non hanno bisogno di Sanremo. E dunque è inutile per loro sottoporsi al giudizio della platea, controproducente cimentarsi in una gara dai risvolti del tutto aleatori (Dio ci scampi e liberi dal televoto), rischioso affrontare avversari di minor caratura. Per dirla tutta, quest’anno ho guardato il Festival esclusivamente per la presenza di Luciana Littizzetto, detta Lucianina, in qualità di co-presentatrice insieme a Fabio Fazio. Trovo che questa coppia sia fenomenale, televisivamente parlando. Hanno una grande sintonia, si capiscono al volo e si stimano: sono la classica coppia comico-spalla che riempie lo schermo, che regge la scena con autorevolezza. Lei irriverente, impertinente, imprudente, sfacciata, tendente alla volgarità e allo sberleffo; lui educato, misurato, raffinato, estremamente rispettoso e sempre politically correct. Un gioco delle parti in cui lei attacca, inveisce, insolentisce tutto e tutti e lui tenta (fintamente?) di metterle il freno, di arginarla, di tapparle quasi fisicamente la bocca. Senza riuscirci peraltro. Guardando il sorrisino ironico con il quale Fazio fissa la Littizzetto dopo ogni strigliata, ci si rende conto di quanta complicità ci sia tra i due, di quanto l’una dica ciò che solo a lei è concesso (il privilegio del giullare) e di quanto l’altro, pur nella formalità un po’ ingessata del conduttore modello, ami sentire dire quelle cose. I loro siparietti a Che tempo che fa sono tra le gag televisive più efficaci che ci siano in circolazione, e ricordano un’altra coppia storica formidabile, Vianello - Mondaini.
E dunque, forte di questa garanzia, mi sono sintonizzato su Rai Uno per alcune sere. Purtroppo però mi sono accorto quasi subito con grande rammarico che, a parte la Littizzetto e Fazio, c’erano anche i cantanti. Alcune canzoni erano davvero uno strazio inascoltabile: sconclusionate melodicamente, incomprensibili, biascicate o urlacchiate senza criterio. In alcuni frangenti - vuoi anche a causa dell’influenza che mi ha reso un tantino sorso - ho avuto serie difficoltà a comprendere testi e parole. E così, al pari di un non udente fatto e finito, ho messo su la pagina 777 di televideo. Da quel momento sono riuscito a intendere parola per parola, anche se leggermente in ritardo rispetto al labiale. Il che ha creato, se possibile, ancora più confusione. E sì perché, se prima potevo ragionevolmente pensare di non riuscire ad afferrare il senso della canzone perché non sentivo le parole, ora le parole le potevo leggere, eppure non capivo lo stesso. In alcune circostanze mi sono trovato di fronte a dei testi al di là di ogni possibile comprensione umana. Ecco una piccola antologia colta fior da fiore tra i ritornelli, che pure dovrebbero essere il punto di forza di ogni pezzo: “Senza di noi - ho ancora - quella smania di fuggire via da sola - senza di noi - ma non da ora - se non altro per vederti - andar via ancora”; “Ho imparato a leggere e pure a parla’ - mangio scatolette non cucino più - festa del paese non ci vengo e tu? - c’è il pallone alla tv”; “Portami a bere oltre le stelle - Spiegami il senso dimmi la verità, profeta - Fammi fumare venti d’immenso”; “Come poterti dire - Questa mia canzone - Già ti appartiene e mi lascia di te - Come in un regalo di natale - La curiosità di non sapere cos’è”; “La prima volta che sono morto non me ne sono nemmeno accorto - ma ho realizzato dopo un secondo, che si sta meglio nell’altro mondo”. Ecco, a parte l’ultimo virgolettato, che pure è parecchio stravagante, ditemi voi se hanno un senso logico queste parole. Ditemi se si capisce il pensiero che hanno seguito gli autori. Per forza che poi Vecchioni al confronto diventa un grande poeta. Stando così le cose allora non si capisce perché il grande Leone Di Lernia non venga mai invitato ad esibirsi sul palco. Questa si che è un’ingiustizia.
Ad ogni modo, a conclusione della kermesse, tutti si sono ovviamente dichiarati molto soddisfatti: gli ascolti sono stati mediamente alti (e sfido io..., dove vuoi che vada la gente con sta crisi?), i dirigenti Rai si sono complimentati con autori e conduttori, i critici hanno elogiato le canzoni e l’evento pare che si sia ripagato con la raccolta pubblicitaria. Il che è già qualcosa considerato il momento economicamente non certo felice che vive il mondo dell’editoria. Nulla di nuovo dunque rispetto agli altri anni. Tra qualche giorno, poi, sempre nel solco della tradizione, inizieremo a chiederci: “Chi è che ha vinto il Festival quest’anno?”. Al che cominceremo a fare delle panoramiche infinite tutt’intorno a noi, alla ricerca di una risposta che non arriva. E per uscire dall’empasse imbarazzante faremo la solita immarcescibile battuta: “Forse i Jalisse”. E dunque senza accorgercene, presto ci ritroveremo davanti ad un nuovo fantasmagorico festival. Si ricomincerà a parlare di chi c’è e chi non c’è, degli ospiti d’onore, delle soubrette, degli opinionisti, dei conduttori e dei compensi stratosferici. Che poi non si capisce perché ci sia tanta indignazione riguardo a quest’ultimo argomento. Viviamo in un regime di libero mercato, abbiamo accettato l’idea che chi vale debba essere pagato, anche profumatamente? Bene. E dunque dov’è lo scandalo…? Si tratta della banalissima legge del mercato: faccio ascolti, attraggo investimenti pubblicitari? Bon, il mio prezzo è questo. Matematico. D’altra parte è dai tempi di Leibniz che riteniamo di vivere nel migliore dei mondo possibili. Che novità è mai questa? A meno che non si voglia entrare in un nuovo discorso di valenza etica. Cosa che, va da sè, ci porterebbe su un terreno assai minato.
Ad ogni modo, visto che manca ancora qualche mesetto all’appuntamento, e fermo restando che la coppia Fazio-Littizzetto funziona e che dunque andrebbe riconfermata, io avrei da proporre un suggerimento ai “padroni del vapore”: e se l’anno prossimo facessimo lo spettacolo senza i cantanti?

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