Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 22 febbraio 2013

Cammino e natura come cura contro la modernità

«Buongiorno Pasqualino, come vi sentite».
«Meglio, meglio. Un poco debole».
«Di aspetto state bene. Ieri stavate pallido. Fatemi sentire il polso, … che è la prima cosa» – non lo sente – «Be’ io mo’ non me ne intendo, non lo trovo mai…».
«La lingua, guardatemi la lingua».
«Ah sì, la lingua la guardo bene io…! Sì, sì, state meglio. Mo’ dovete sentire a vostro fratello, vi dovete rinforzare, mangiate carne al sangue, vino rosso. Poi vi fate una bella passeggiata dalla parte di via Caracciolo: dopo l’influenza, una mezz’ora di aria di mare vi fa bene…».
Si tratta di un scena della commedia Natale in casa Cupiello, di Eduardo de Filippo. Pasquale è stato male, e dopo una settimana di febbre alta, finalmente sta meglio. Luca, il fratello maggiore, lieto di vederlo ristabilito gli consiglia di mangiare proteine, di bere del buon vino e di andare a fare una passeggiata sul lungo mare. Ottimo consiglio fraterno. D’altra parte si sa, camminare all’aria aperta fa bene, rilassa, consente di ammirare paesaggi affascinanti, lontano dall’inquinamento e dallo stress cittadino. Ma oltre a tutto ciò oggi sappiamo che camminare immersi nella natura, senza avere per le mani né uno smartphone né un tablet, aumenta anche le capacità di pensiero creativo. A rivelarlo è uno studio associato delle Università dello Utah e del Kansas. Le persone che hanno partecipato a questo esperimento hanno trascorso alcuni giorni sulle montagne degli Stati del Nord, senza alcun apparecchio elettronico. Lo scopo era quello di fare una full immersion nello stato di natura. Una volta tornati, queste persone sono state sottoposte nuovamente al test effettuato prima di partire: il risultato è che la capacità creatività e di risoluzione di problemi e quesiti era migliorata del 50 per cento. Secondo i ricercatori camminare a contatto con la natura ha effetti benefici sulla corteccia cerebrale, e a goderne maggiormente di questa attività è proprio la creatività. Questa ricerca, inevitabilmente ci porta a pensare alla filosofia classica. Nell’antichità i grandi maestri greci insegnavano nelle piazze, nei giardini, si concedevano lunghe passeggiate dialogando e confrontandosi con gli allievi. Socrate ad esempio camminava scalzo per le strade di Atene, e ogni occasione era buona per rivolgere domande terrificanti agli uomini più influenti della città. Con rispetto parlando e al di là di tutto l’alone romanzesco che lo avvolge da millenni, Socrate era un tremendo rompicoglioni: non per nulla, dai e ridai, gli hanno fatto tracannare la cicuta. Ma egli non era il solo a passeggiare insegnando. Pitagora al mattino faceva insieme ai suoi discepoli delle lunghe passeggiate in luoghi isolati, dove regnavano quiete e tranquillità. La tranquillità, sosteneva, era propedeutica e confacente all’innalzamento dello spirito. Aristotele poi usava passeggiare con gli allievi lungo i viali che circondavano la scuola. Scuola chiamata poi “peripatetica” (περίπατοι, “colonnati”) a causa appunto di questa abitudine di camminare nel giardino e lungo i colonnati del ginnasio di Atene. Che tempi era quelli, quanta saggezza in questi uomini. Per avere un’idea dell’abisso che ci separa da costoro, basta pensare al fatto che per noi oggi, “peripatetica” equivale a meretrice. E per continuare sul terreno filosofico anche Ipazia, la straordinaria inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, amava passeggiare per le strade. No, che avete capito: niente copertoni bruciati. La sua era una missione divulgativa di ben altra natura. Ma in generale tutti gli studiosi del passato, a differenza di oggi, erano immersi nel cammino e nella natura. Racconta Platone nel Teeteto, che un bel giorno Talete, croce e delizia degli studenti di geometria di tutte le epoche, mentre passeggiava intento a osservare le stelle e avviluppato nei suoi pensieri, cadde in un pozzo e cominciò a urlare come un suino al mattatoio. Accorse una serva tracia e vedendolo in quella miseranda situazione cominciò a turlupinarlo dicendogli che egli si preoccupava di conoscere le cose del cielo e non si avvedeva di ciò che gli stava sotto ai piedi. Pare che il grande matematico abbia risposto con una sonora bestemmia indirizzata a Padre Zeus. Passeggiare meditando tuttavia non era un’attività gradita ai soli filosofi greci. Anche Emmanuel Kant, il padre dell’Idealismo tedesco, sembra che fosse appassionato di passeggiate. Pare che a Konigsberg le sue escursioni fossero talmente regolari, che i suoi concittadini le usassero per controllare la precisione dei loro orologi. E chissà quanti pensieri avrà maturato questo grande filosofo durante quelle camminate, quanti concetti si saranno materializzati sui fogli d’appunti grazie a quelle divagazioni, grazie a quelle lunghe passeggiate solitarie. Gli studiosi sostengono che la creatività va a deprimersi con l’utilizzo degli odierni dispositivi tecnologici. Può darsi, ma come abbiamo visto, da che mondo è mondo, il cammino e l’immersione nella natura, nei panorami, o anche soltanto lungo strade e giardini, aiuta la meditazione, la riflessione. Anche i monaci di clausura meditano camminando lungo il perimetro dei chiostri dei monasteri. Ci dev’essere qualcosa di più dunque: non è solo una questione di apparecchiature elettriche che deprimono la creatività. Camminare da soli, probabilmente produce l’effetto benefico di accende la mente, permette di razionalizzare il pensiero, di definire le idee. Perché essere soli con noi stessi ci costringe a pensare. Ma ciò può avvenire, per esempio, anche andando in bicicletta: a me capita tante volte di uscire con un problema nella testa e di tornare con una soluzione. Anche il contadino con il suo bell’aratro, per secoli ha avuto fama di possedere “scarpe grosse e cervello fino”. Dov’è dunque la verità? Probabilmente il punto è sempre lo stesso: oggi viviamo in una società chiassosa, confusionaria, fatta di rumori, schiamazzi, urla. Com’è possibile concentrarsi in un ambiente come questo? Come si fa a riflettere sui grandi concetti della vita in questo immenso, assordante bailamme? E più banalmente, come si fa a sviluppare creatività o capacità di risolvere problemi e questioni, in questo frastuono continuo, in questo perpetuo schiamazzo che fa da sottofondo alle nostre esistenze? Forse non è indispensabile andare per i monti per riconquistare un po’ di creatività: proviamo magari ad abbassare il volume e ad ascoltare di più il silenzio. È probabile che abbia tante cose da dirci.

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