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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 24 gennaio 2013

Sì, altro che profezia Maya: ora arriva il Global Risk

In questi giorni si sta tenendo a Davos, in Svizzera, il meeting 2013 del World Economic Forum, l’appuntamento che ogni anno riunisce leader politici internazionali, scienziati e imprenditori di successo che cercano di contribuire a definire un’agenda globale. In questa sede, tra le altre cose, è stato presentato l’attesissimo rapporto Global Risks 2013, uno studio che analizza una serie di cosiddetti “X Factors”, vale a dire i rischi più gravi e attuali che minacciano la sopravvivenza del nostro pianeta. C’è da prendere paura al solo scorrere l’elenco, ve l’assicuro.
Si va dalle mega-eruzioni – eventi capaci di provocare il temutissimo “inverno nucleare” – alle spaventevoli epidemie causate da supervirus; dai funghi patogeni – tipo il Phytophthora infestans che distrusse tutte le coltivazioni di patata in Irlanda a metà dell’800 – alle eruzioni solari – con tanto di emissioni di raggi gamma potenzialmente in grado di friggere la Terra.
Ditemi voi se si può guardare al futuro con speranza…! E fosse solo questo… Tra gli altri rischi cui potrebbe andare incontro l’umanità, non poteva mancare certo l’immancabile asteroide – tipo quello che ha estinto i dinosauri nel Cretaceo – e poi i buchi neri, lo scioglimento dei ghiacci a causa del global warning, le frane sottomarine capaci di produrre tsunami con onde gigantesche – tipo quella che avvenne nel 1998 in Papua Nuova Guinea e che uccise 2.200 persone. Spero che gli autori di Kazzenger non riescano a mettere le mani su questo dossier: nelle condizioni in cui siamo non ce le possiamo permettere altre trenta serie di puntate sulle catastrofi.
E come se non bastasse tutto questo terrore, ecco arrivare l’ultimo rapporto di Greenpeace sulle cosiddette “bombe a orologeria”. Se non avete ancora pensato a redigere un testamento olografo vi consiglio di farlo alla svelta: domani potrebbe essere troppo tardi. Poi nel caso, ho un amico che ultimamente si è specializzato in necrologi e discorsi funebri: è veramente molto bravo e ha tariffe decisamente contenute. Se ne volete approfittare lasciate un recapito telefonico in segreteria.
E cosa dice questo rapporto degli amici ambientalisti? Nel mondo ci sarebbero quattordici progetti in fase di studio capaci di aumentare le emissioni di CO2 di un ulteriore 20%, rendendo praticamente incontrollabili i cambiamenti climatici. Si va dall’estrazione del carbone nella Cina occidentale allo sfruttamento del gas e del petrolio artico, dall’estrazione delle sabbie bituminose del Canada al pompaggio intensivo dai giacimenti in Brasile, Iraq, Golfo del Messico e Kazakistan. Se tutto ciò verrà portato a compimento, nel 2050 ci saranno 300 miliardi di tonnellate di CO2 in più nell’atmosfera, con la produzione e il consumo di quasi 50 milioni di tonnellate di carbone, più di 29 miliardi di metri cubi di gas naturale e 260mila barili di petrolio. Il che significa 5-6 gradi in più entro il 2100. E a quel punto, dicono gli esperti, l’umanità avrà superato abbondantemente il “punto di non ritorno”. Espressione sibillina che sta a significare: “Poi non dite che non ve l’avevamo detto…”.
Soluzione proposta da Greenpeace? Tagliare immediatamente la fame di idrocarburi, ridurre le emissioni, puntare su fonti rinnovabili, produrre oggetti più efficienti e che consumino la metà dell’energia, adottare comportamenti più rispettosi dell’ambiente. Tutti suggerimenti di normale buonsenso, e che se seguiti, innescherebbero oltretutto il volano della cosiddetta “Green-economy”, portando una bella boccata d’ossigeno al mondo del lavoro.
Già, facile a dirsi. Peccato che l’economia globale giri da sempre intorno al business del petrolio. Ed ora pare anche intorno al carbone: un fantasmagorico ritorno al passato.
Di fronte a tutte queste tragedie agghiaccianti, cosa ci resta da fare? L’unica via d’uscita e quella di cercare, nel nostro piccolo, di essere i più responsabili possibili, di ritornare alla sana cultura del risparmio, quella dei nostri antenati. Nessuna società nella storia dell’umanità ha mai sprecato tanto, ha mai prodotto tanti rifiuti. Ce lo possiamo ancora permettere? Questa è la domanda. Ovviamente no. E quindi partiamo dai gesti più semplici: spegniamo le luci che non ci servono, evitiamo di prendere l’automobile anche per andare a comprare il pane, disattiviamo tutti gli stand-by dei nostri elettrodomestici; e poi evitiamo di comprare oggetti con imballaggi enormi, facciamo una corretta raccolta differenziata, acquistiamo prodotti a chilometri zero. E soprattutto parliamo di questi temi tra di noi, cerchiamo di farli diventare argomento comune di conversazione, anche al costo di essere presi per dei tremendi rompicoglioni. Tra un commento sull’arresto di Corona, e uno sghignazzo sulla farfallina di Belen, proviamo a parlare ogni tanto anche di quanto sia bello camminare, di quanto si risparmi ad andare a lavoro in bicicletta o di come siano pratici e convenienti i dispenser dei detersivi (chiaramente ecologici) che consentono di riutilizzare sempre gli stessi flaconi. Passerete per persone originali, forse un po’ tocche, ma dai e dai, riusciremo a cambiare il mondo. E forse a salvarlo.
Poi, per carità, nulla toglie che un asteroide ci possa sempre cadere sulla testa…, questo fa parte delle naturali casualità della vita. A quel punto però, salvo che Bruce Willis non decida ancora una volta di sacrificarsi facendolo esplodere in volo, ci sarebbe ben poco da fare. Si capisce. Nel dubbio comunque vale sempre il solito consiglio strettamente personale: non separatevi mai dal cornetto rosso. Male non fa.

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