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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 14 dicembre 2012

Le cinque regole del perfetto arrivista

In ogni buon ufficio che si rispetti, pubblico o privato che sia, ci sono varietà di persone e personaggi, che rispecchiano ogni tipologia di “fauna” umana: c’è l’ossequioso, c’è il ribelle, lo stakanovista, il neghittoso (volgarmente detto “fancazzista”), il farabutto, il ruffiano. Un po’ di tutto insomma. E poi c’è l’ambizioso, l’arrampicatore spregiudicato, capace di ogni nefandezza pur di scalare i gradini della società per la quale lavora. Per questo genere di persona non esistono sentimenti, nessun senso di umanità verso i propri simili, nessuna pietà. Ogni mezzo, ogni compromesso o sotterfugio è lecito per conseguire i propri scopi, fosse anche avvelenare un parente stretto con una dose massiccia di Guttalax.
Perché in effetti per l’arrivista non esiste madre, né padre, parenti o amici che tengano: a lui interessa solo il proprio tornaconto personale. Costi quel che costi.
Villaggio c’ha lasciato uno splendido affresco di tale fenomeno sociale: “Fra tutti quello del Visconte Cobram era il nome più temuto […] Da giovane era stato un mediocre ciclista dilettante; ed entrato a diciott’anni nei ranghi della società, aveva fatto strada facendo il leccaculo e la spia dei potenti ed ora, raggiunto anche lui il potere, voleva che il ciclismo lo praticassero tragicamente tutti i suoi dipendenti” (Fantozzi contro tutti, 1980).
E sì perché l’arrivista, tra l’altro, non si accontenta di giungere lassù, tra i potenti. Il suo scopo finale è quello di dare sfogo al proprio sadismo, di angariare i sottoposti, di umiliarli pubblicamente, per ripagarsi di tutti gli oltraggi che ha dovuto sopportare per arrivare al vertice. Di solito poi questi soggetti fanno davvero delle carriere fulminee e strabilianti, anche perché è notorio quanto i capi amino le lusinghe. E così, tra un ruffianesco adulatore privo di valore, e un intelligente e preparato lavoratore – che ci tiene a mostrare il suo punto di vista senza servilismi – sarà sempre il primo ad averla vinta.
Qualche anno fa lavoravo per una società milanese. Non sono mai stato un tipo accondiscendente, ed anzi, a buona ragione, posso dire di essere sempre stato un tremendo “rompicoglioni” dei potenti. Un bel giorno giunse un ragazzo per un colloquio di lavoro ed io fui il primo ad accoglierlo. Nell’attesa che il capo arrivasse per esaminarlo, scambiammo due parole. Mi era simpatico e così gli detti un paio di consigli per ben figurare al colloquio. E come ultima cosa gli dissi: “Ah, dimenticavo…, fatti trovare intento a leggere Il Sole 24 Ore. Farai decisamente colpo, fidati”. E così fu assunto. Probabilmente non fu solo merito dei miei suggerimenti, questo è ovvio, ma una piccola spintarella di certo la ebbe. Non trascorse neanche un mesetto, che il tipo si palesò come uno dei più servili adulatori che io abbia mai conosciuto: mai una domanda, mai un’obiezione, mai una smorfia neanche di fronte alle più assurde richieste dei superiori. Solo sorrisi sciocchi, atteggiamento remissivo e riverente, ossequioso e servizievole. Mi faceva venire il voltastomaco. Pochi giorni bastarono perché, all’iniziale spirito di rispettosa collaborazione con i colleghi, sostituisse un’aggressività feroce che calpestava tutto e tutti pur di remare a favore della causa del capo. Ci feci delle litigate furibonde e in più di un’occasione fui tentato di aggredirlo fisicamente. Col tempo il capo cominciò a ricoprirlo di stima, incarichi e responsabilità – oltreché di quattrini – , e questi in breve divenne il suo personalissimo intermediario. La situazione divenne talmente esplosiva che, mio malgrado, dovetti rassegnare le dimissioni.
Ora scopro che da qualche giorno è stato pubblicato un volume dal titolo assai seducente: “Manuale del perfetto arrivista”. E leggendo qua e là, ritrovo molte analogie con quella triste vicenda. La psicologa Corinne Maier, già autrice di “Buongiorno pigrizia” (sottotitolo “Come sopravvivere in ufficio e fare il meno possibile”), in questo libro suggerisce al lettore cinque chiavi vincenti per avere successo negli affari e nella scalata al vertice. Innanzitutto occorre essere ipocriti: il perfetto arrivista non deve mai essere sincero, deve avere ben presente il proprio particolare, ma non deve mai palesarlo, mai esternare come la pensa veramente. In secondo luogo bisogna sempre acconsentire a tutto ciò che il capo dice o dispone, senza mai contrapporvisi, senza mai obiettare anche blandamente, neanche quando esistano le più elementari ragioni. E per dare forza di sostanza alla propria fedeltà, meglio ancora sarebbe aggiungere espressioni di profondo entusiasmo e adesione per ogni ordine o progetto. Deve in altre parole passare l’idea che il sottoposto non subisca l’ordine, ma lo esegua con grande trasporto. Perché nulla è più piacevole per un capo che un sottoposto che mostra entusiasmo. “Bisogna applaudire – scrive la Maier – , far vedere che si è positivi, bendisposti, che ci si crede”. E ancora nella mente mi ritorna una scena di Fantozzi: “…è un bel direttore…” e tutti ad applaudire servilmente. La quarta regola, da eseguire alla lettera, nonostante appaia veramente di uno squallore senza confine, è quella di sfruttare il più possibile gli altri, siano essi colleghi, superiori o subordinati. Non esistono persone, ma solo strumenti da utilizzare al fine di conseguire il proprio scopo. Nel limite del possibile meglio trovarsi un mentore di una certa importanza, un protettore influente, “e ridere in modo sfrenato alle sue battute, anche se non sono divertenti”.
E qui potremmo fermarci, tanta è la nausea che sale dal profondo. Ma andiamo oltre. Usare sempre e soltanto il linguaggio giusto, quello che fa squadra, che fa sentire tutti uniti in un solo progetto. Ogni azienda, si sa, ha il suo vocabolario preferito e così non è raro imbattersi in uffici in cui imperversano per tutto l’arco della giornata tragiche espressioni anglofile come core business, mission, business plan, problem solving, activity report (qualcuno con sprezzo del ridicolo giunge perfino alla spaventevole italianizzazione brieffare), pronunciate con grande enfasi e soddisfazione da parte dei consultant – così sono detti i disgraziatissimi lavoratori – che pensano, poveretti, sia molto chic comunicare, infarcendo le loro frasi con quel linguaggio moderno e poco comprensibile per la quasi totalità degli esseri umani della Terra.
E per concludere l’ultima chicca: mai correre rischi inutili proponendo qualcosa di originale. Cosa peraltro assai difficile per l’arrivista, essendo egli persona di una mediocrità imbarazzante, priva completamente d’ingegno e capacità. Meglio aderire ad idee che abbiano almeno inizialmente superaro il gradimento del capo. E proprio in questo sta forse l’unica vera dote dell’arrivista, ciò nell’intuire i gusti del superiore e nel porgergli iniziative che lo allietino in tale senso.
Ecco, tutto questo e molto altro, è ciò che serve per fare una brillante e velocissima carriera. Più che consigli pratici sono filosofia di vita, dottrina comportamentale per chi ambisce a primeggiare al di là dei propri obiettivi meriti.
Una cosa tuttavia trascura di dire la Maier, e non è faccenda di poco conto: per abbracciare questa mentalità, per abdicare alla propria dignità di essere umano, e involarsi verso i luoghi di potere, occorre una spiccata propensione caratteriale. Non tutti gli esseri umani infatti sono tagliati per essere arrivisti, e non basta la buona volontà, né l’ostinata abnegazione per raggiungere risultati apprezzabili. Il vero arrivista è corrotto dentro, marcio fino in fondo di superbia ed egoismo, venduto senza pudore al miglior pagatore. Un’opportunista formidabile che eleva l’ambizione a valore assoluto.
Ecco, questa è l’essenza vera, la natura concreta dell’arrivista: se mancano queste doti sublimi ed ecumeniche, se nel cuore alberga un briciolo di nefasta empatia per il prossimo, non avremo il perfetto arrivista. E non ci sarà manuale che tenga: potete scommetterci.  

5 commenti:

  1. Bellissimo post, scritto davvero bene

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  2. stessa storia la mia..surclassato dall ultimo arrivato che feci assumere...
    ma noi siamo diversi...
    puliti dentro..onesti e sinceri...
    ed alla fine paga esserlo...
    sempre..prima o dopo...
    tutti i nodi tornano al pettine...
    e l arrivista si trovera' tutta la squadra con cui lavora rivoltata contro...
    e da solo credimi...arrivera' soltanto al cesso....
    visto che se non sai gestire la tua squadra....hai fallito....
    che bei momenti...
    e poi quando si fallisce un obbiettivo...beh il primo ad averlo fallito sara' sempre lui...:
    WW LA GENTE X BENE !!!

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  3. Chissà perchè buona parte degli arrivisti italiani sono milanesi, deve essere un fatto culturale

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  4. Vero...verissimo, ma anche i piemontesi non scherzano

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