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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

mercoledì 28 novembre 2012

Pianeta Terra: il punto di non ritorno

E sì, pare proprio che ormai siamo arrivati a fine corsa. Ventinove chili di suolo, due tonnellate circa di acqua e quattro litri di gasolio: questi sarebbero i consumi giornalieri di ogni singola persona che abita sul nostro pianeta. Il tutto moltiplicato per sette miliardi di persone. Un dato che, va da se, non promette niente di buono per il futuro dell’eco-sistema. È l’analisi presentata da Julian Cribb, esperto di comunicazione scientifica, a una conferenza dell’Accademia australiana di scienze a Canberra.
Secondo le ultime ricerche della Fao la metà del suolo del pianeta è già degradato, e ogni anno quattro mila chilometri cubi d’acqua dolce viene estratta dal sottosuolo con metodi non sostenibili. A dar retta a Cribb, abbiamo ormai pochi decenni per non trovarci impreparati al punto di non ritorno. E per fare ciò, l’unica strada perseguibile è cominciare a pensare a cambiamenti radicali nel campo dell’agricoltura industriale, nel modo in cui sono concepite le nostre città, i sistemi di trasporto, lo stile di vita, a partire dal modo in cui ci alimentiamo. Nel libro pubblicato un paio d’anni fa - The Coming Famine: the global food crisis and how we can avoid it - Cribb individuava alcuni punti critici: la dipendenza da combustibili, l’allevamento industriale, la crescita mondiale della popolazione e il sovraconsumo. E forniva anche alcune ipotesi sulle quali lavorare, tipo la crescita dell’acquacoltura (pesce d’allevamento), l’incremento della coltivazione di alghe per la produzione di cibo, ma anche di combustibili e plastiche; e poi ancora l’avvio dell’agricoltura urbana e la diversificazione delle colture. Ecco, al di là del fatto che m’inquieta non poco sapere che le alghe possano essere, alla bisogna, sia cibo sia combustibile, dobbiamo veramente aprire gli occhi su questi argomenti e cominciare ad amare un po’ di più la nostra Terra. “Ci sono venticinque mila piante commestibili sul pianeta Terra - continua Cribb - e il 99% di esse sono sconosciute alla maggior parte della popolazione”. A sto punto, c’è da saziarsi fino all’eternità, verrebbe da dire: basta volerlo. In effetti, il problema del sovrappopolamento e depauperamento del nostro pianeta è uno di quegli argomenti che releghiamo sempre tra le notizie catastrofiste, tra le materie che ci preoccupano, ma fino ad un certo punto. E comunque non c’interessano, perché sono sempre gli altri i colpevoli. Nell’immaginario collettivo ormai, anche a causa di trasmissioni televisive che fanno dell’allarmismo smodato il loro appeal, abbiamo catalogato tali problematiche nello stesso sottoinsieme dei terremoti, degli tsunami e delle eruzioni violente. Cose di cui aver timore, ma al limite del fantascientifico. Perché se passano in televisione e ad ora di cena, in fondo qualcosa di finto devono pur averlo. Ed anche qualora tali tematiche giungano a colpirci, tendiamo sempre a metterle un gradino dietro ai problemi più impellenti. Possiamo preoccuparci del fatto che tra cinquant’anni comincerà a scarseggiare l’acqua anche nelle nazioni ricche, quando abbiamo problemi ad arrivare a fine mese? E invece, proprio perché abbiamo il tempo per intervenire gradualmente, dovremmo cominciare a ripensare seriamente a tutto il nostro modo di vivere. Anche perché ne va della nostra salute. Un po’ come dicono gli esperti di alimentazione ai loro pazienti grandi obesi: “Lei non ha bisogno di una dieta, lei ha bisogno di altro stile di vita”. Il mese scorso il Wwf, in collaborazione con la Seconda Università di Napoli e l’Università della Tuscia ha lanciato l’iniziativa del “carrello della spesa virtuale”: scopo dell’iniziativa è sapere quanto impattano le nostre scelte alimentari sull’ambiente. E così, tra le altre nozioni veniamo a scoprire che una bottiglia di passata di pomodoro “costa” la bellezza di 206 litri d’acqua ed equivale a 1,5 kg di Co2; mentre per un barattolo di pelati si utilizzano 440 litri d’acqua ed emette 1,83 kg di Co2 equivalenti; un litro di olio d’oliva, invece, in acqua costa 13.353 litri e comporta 2,44 kg di Co2, mentre un litro di oli di semi richiede 4.234 e produce 2,28 kg di Co2. Sono dati che non dovrebbero lasciarci indifferenti. Anche considerando l’aumento esponenziale degli esseri umani: nell’anno zero dell’era cristiana, per esempio, sulla Terra vivevano 160 milioni di persone; nell’anno mille poco più di 250 milioni. In poco più di cinquant’anni siamo passati da 2,5 miliardi a 7. Ma tutto ciò non sarebbe un male in se. Lo diventa nel momento in cui pensiamo di poter continuare a sfruttare il nostro pianeta a piacimento, senza un minimo di coscienza ecologista. E tutto ciò, al di là dei grandi proclami lanciati in sedi internazionali, per non parlare dei protocolli regolarmente disapplicati, dipende in larga parte da noi. Da ogni singolo individuo, da ogni singolo atto del nostro agire quotidiano. Se sapessimo, per esempio, che per mezzo chilo di carne bovina si utilizzano 7.751 litri d’acqua e si emettono 3,51 kg di Co2, forse saremmo più invogliati a consumare carni bianche (500 grammi di carne di pollo o tacchino, 1.951 litri d’acqua e 1 kg di Co2) o pesce, sia di d’allevamento che pescato (zero litri d’acqua ed emissioni di Co2 inferiori al kg). Ognuno di noi è chiamato oggi, non solo ad avere comportamenti e abitudini responsabili, ma anche a divulgare queste informazioni. D’altra parte, proprio perché siamo diventati tanti, forse troppi, non possiamo più permetterci gli sprechi; dobbiamo azzerare il trasporto pubblico e privato inquinante, ridurre il più possibile il consumo di carne animale; e poi occorre privilegiare le produzioni biologiche, la stagionalità: basta cedere alla tentazione dalle arance uruguaiane in agosto, o delle albicocche neozelandesi in dicembre; e ancora, scegliamo la vendita a chilometri zero e il rapporto diretto agricoltore consumatore. Sono piccoli gesti destinati a dare un futuro al nostro pianeta. Oltretutto come italiani, e dunque legati alla dieta mediterranea, siamo già sulla buona strada, dato che tra tutte, questa è quella più rispettosa dell’ambiente. “Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”. Ecco, speriamo di non dover un giorno dare ragione a Tatanka Iotanka (Toro Seduto), grande capo dei Lakota (Sioux). Uno dei popoli più poetici della storia dell’Umanità. per un’alimentazione sostenibile leggi anche

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