Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 6 novembre 2012

Le avventure di un soccorritore

Alle volte mi capita di raccontare ad amiche e amici di alcuni interventi effettuati durante la mia attività di soccorritore volontario. Quando qualcuno chiama l’ambulanza solitamente sta poco bene, questo va da se, e i soccorritori si preparano soprattutto mentalmente ad affrontare una situazione di emergenza. In alcune circostanze invece, a fronte di chiamate per motivi piuttosto seri, ci si trova al cospetto di situazioni a dir poco esilaranti.
Questo non toglie ovviamente che il giusto atteggiamento del soccorritore debba essere sempre improntato al massimo rispetto per la persona. Ma quando la risata scappa, scappa e non la si riesce a trattenere neanche sigillando le labbra col bostik . C’è anche da rilevare che, per fare questo genere d’attività, occorre in un certo senso metter su la corazza, estraniarsi dalle situazioni per agire senza implicazioni eccessivamente empatiche. Qualcuno però prende veramente alla lettera questo dettame, fino a risultare - agli occhi di uno sprovveduto - un tantinello cinico. Come quella volta che rientrando con una paziente centenaria, il volto grigio cenere e più di là che di qua…, un tizio in camice, guardandola fissa e un po’ angustiato, disse: «Uhm…, non ha proprio una bella cera…!». Sono episodi che in alcuni casi se raccontati corrono il rischio di essere presi, nella migliore delle ipotesi, per barzellette inventate di sana pianta. E così ho pensato di regalare ai lettori del blog alcune perle. Eccole.

Oddio, non ho nulla da mettermi…!

Ore 04.00 di un venerdì mattina. Chiamata per paziente in stato di alterazione psichica. Non ben specificata. Ci precipitiamo in sirena e codice giallo lungo le stradine di paese. Salendo su per le scale sentiamo delle voci concitate, a tratti urlacchiate. Davanti a noi si presenta la scena di una donna in evidente stato d’ebbrezza. Indossa solo una t-shirt bianca e biascica parole quasi incomprensibili. Sul pianerottolo c’è il vicino che ci racconta di come la donna sia rimasta involontariamente chiusa fuori di casa. La portiamo in ambulanza, parametri e tutto il resto e rientro in codice verde. Al Pronto Soccorso l’infermiera di turno, accorgendosi del deshabillé spinto della paziente, l’accoglie con un molto informale: «E le mutande dove le hai lasciate?». Al che il mio collega, assai opportunamente risponde: «E si, la signora stasera è uscita un po’ leggerina…».

La vita è fatta a scale…

Cuore della notte, i soccorritori se la dormono alla grande. Suona la campana, e l’autista come al solito si sveglia con un urlo agghiacciante. Chiamata per paziente con dolore articolare. Nulla di grave, si esce senza sirene. Terzo piano a pieni. In un ampio salone una signora di circa cento chili siede su una sedia rinforzata. Il capo-equipaggio, nonostante abbia un sonno apocalittico, fa tutte le domande del caso, coordina l’intervento, rileva la pressione. L’autista scende di corsa a prendere la sedia cardiopatica per effettuare il trasbordo in ambulanza. La paziente viene sistemata ed imbragata, ma un attimo prima di muoversi il capo-equipaggio si sofferma a pensare. E poi, spinto da una forza interiore inarrestabile domanda alla paziente: «Signora, ma l’ascensore qui non c’è…?». Risposta della paziente: «E bravo, se c’era l’ascensore chiamavo voi?».

Basta poco, che ci vuole…!

Tre del pomeriggio di un sabato di metà estate. Questa volta si tratta di un sospetto cardiologico. La faccenda si fa seria. Codice giallo e ambulanza spinta a tutta velocità. Arriviamo pronti al peggio, in questi casi la tensione raggiunge livelli di guardia. Troviamo il paziente seduto sul letto, sofferente. Si tratta di un uomo di una discreta stazza, con un ventre grosso da divoratore di cibo. Ha un gran peso sullo stomaco, dolore a tratti anche retrosternale, fame d’aria e difficoltà respiratoria. I parenti sono spaventati, la moglie piange. I parametri sono buoni, a parte la pressione leggermente alta. Ad ogni modo è una situazione che potrebbe peggiorare da un momento all’altro e quindi restiamo nella massima allerta. Riferiamo in centrale e ci prepariamo per il trasporto. Il collega fa sedere il paziente sulla barella e gli si pone faccia a faccia - pupilla nella pupilla - per legarlo con le cinture di sicurezza. Ad un tratto però il paziente s’irrigidisce, diventa paonazzo, sussulta, trema come un razzo sulla rampa di lancio…, e per finire gonfia le gote ed esplode in uno dei rutti più sonori e devastanti cui abbia mai assistito. Il collega cambia d’improvviso espressione e anche un po’ colore dei capelli. Per un attimo c’è un silenzio irreale, ci guardiamo tutti senza proferire verbo. Il paziente a quel punto si rilassa, il volto si distende e torna beato e serafico. E poi aggiunge pacato: «Oh…, adesso si che mi sento bene…!». E poi aggiunge: «Grazie, grazie di tutto. Posso offrirvi un caffè prima che ve ne andiate?».

Gradita sorpresa…

Ore 02.30 del mattino, chiamata su paziente incosciente. Codice rosso, sirene bitonali e velocità sostenuta. Dietro di noi l’auto-medica. In questi casi ci si prepara al peggio perché, tra le altre cose, potrebbe trattarsi di un arresto cardiaco. Durante la folle corsa nella notte ci prepariamo per l’intervento: defibrillatore, ossigeno, ambu, cannule…! Tutto pronto per l’intervento. Arriviamo svegliando tutto il caseggiato, si accendono le luci degli appartamenti, tutti curiosi di sapere per chi suona la sirena. Suoniamo al citofono, il portone si apre. Su per le scale a rotta di collo, fiatone, concitazione. Sulla soglia di casa ci accoglie una signora, forse la moglie del paziente. E’ tranquilla, anche troppo date le premesse. Le chiediamo dove si trovi il paziente. Al che lei risponde quasi con noncuranza, e ci fa strada lungo un corridoio. E poi all’improvviso l’apparizione: davanti a noi un uomo seduto sul cesso, brache calate e volto rosso paonazzo per lo sforzo. Sorpresa e stupore. Il capo-equipaggio dice al soccorritore uno: «Vai a vedere come sta…». Il soccorritore numero uno dice al soccorritore numero due: «Vai te che di queste cose sei più pratico…». Il soccorritore numero due dice al capo-equipaggio: «Non ci penso neanche…, vacci te che sei il capo». A quel punto si arriva ad un compromesso: si fanno domande da debita distanza. Ad ogni modo lo stallo persiste. Il paziente non si schioda dalla tazza ed i soccorritori attendono che la faccenda si esaurisca da se. Poi giunti al limite si procede quasi di forza e si carica il paziente sull’ambulanza. «E se dovessi sentirmi di nuovo…, male…?» - dice il poveretto - . «Ah guardi, per quello non si preoccupi. Contegno però, mi raccomando…».

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