Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 5 novembre 2012

Ecco... un film per caso

Eccoci qui di ritorno dopo il lungo ponte d’inizio novembre. Al contrario di quanto avevamo programmato inizialmente, vale a dire trascorrere quattro giorni tra le Foreste Casentinesi, tra eremi, conventi e borghi medievali, abbiamo ripiegato - anche causa maltempo - sulla più agevole alternativa proposta da Simona: relax completo sul lago di Lugano, con brevi camminate, visite a borghi pittoreschi e semi-abbandonati, lunghi momenti di condivisione e dialogo davanti ad un camino crepitante. A dire il vero la piccola vacanza non è cominciata proprio nel migliore dei modi. Infatti la grande casa di Simona ci ha accolto con un bel freddolino umido, dato che la caldaia non aveva nessuna voglia di partire.
Per gran parte della giornata dunque abbiamo atteso che il tecnico si facesse vivo, ma alla fine abbiamo dovuto arrenderci all’idea di trascorrere una notte al freddo. Qualcuno ha proposto di dormire tutti intorno al camino, ma alla lunga, a parte Vichi e Dominique, tutti gli altri si sono involati con coraggio verso le stanze da letto dei piani superiori. Al mattino breve escursione lungo le pendici dei monti che fanno da cornice a Porlezza, e ritorno per accogliere con grande entusiasmo il tecnico caldaisti. Nel primo pomeriggio, felici del ritorno del calore domestico, ci siamo involati verso il rifugio Menaggio, dal quale abbiamo finalmente goduto di una vista meravigliosa su tutto il Lago di Como. Prima di tornare a casa breve sosta al supermarket per acquistare tutto il necessario per una gustosa grigliata. Riuniti intorno alla tavolata, ed aiutati da un vino corposo, abbiamo vissuto momenti di allegria, condivisione, umanità vera. E poi ancora davanti al camino crepitante, che illuminava le pareti del soggiorno con luci calde e tremolanti, abbiamo cotto le castagne, spruzzandole poi con un goccio di cognac. Il giorno successivo ci siamo diretti verso Valsoda, poco distante da Lugano. Qui c’è Oria, un borgo meraviglioso, silente e seminascosto sulla sponda del lago in cui c’è la casa vacanza di Fogazzaro. Lo scrittore vicentino qui ambientò molte delle vicende del romanzo Piccolo Mondo Antico. Siamo poi saliti verso Castello, altro piccolo borgo arroccato di poche centinaia di anime. A quel punto dato che la giornata non prometteva niente di buono siamo tornati verso casa, dove Vichi ci ha suggerito la visione di un film a suo dire “molto bello e poetico”. L’idea della visione intorno al camino, allungati sui divani, con i plaid sulle gambe e la pioggia che scende fuori dalle finestre rapisce tutti. Il film in questione è “Quasi amici”, di Olivier Nakache e Eric Toledano, girato il Francia nel 2011. Narra la storia di un incontro tra un ricco aristocratico, rimasto tetraplegico a seguito di un incidente, e Driss, un ragazzo di periferia appena uscito di galera. Il primo cerca un badante che lo possa assistere, il secondo un timbro per ottenere il sussidio di disoccupazione. Da questo incontro/scontro tra persone diversissime tra di loro nasce un connubio forte, che sfocia in un’amicizia, folle, comica, ed estremamente profonda. Questo è uno di quei film che ti fa riflettere sulla condizione dei disabili e del difficile rapporto che ci lega a loro. Philippe, il protagonista della storia, è un uomo ricco e di successo che improvvisamente si trova in uno stato di assoluta dipendenza da tutto e da tutti. Incapace persino di muovere un dito. Ma ciò che più lo disturba è la commiserazione e il pietismo che lo circonda. Rispondendo ad un amico che lo mette in guardia da Driss, in quanto persona senza umanità dice: «E’ esattamente questo quello che voglio, nessuna pietà. Spesso mi passa il telefono, sai perché? Perché si dimentica. E’ vero, non ha una particolare compassione per me, però è alto, robusto, ha due braccia, due gambe, un cervello che funziona, è in buona salute. Allora di tutto il resto a questo punto, nel mio stato, come dici tu, da dove viene, che cosa ha fatto… io me ne frego». Oggi paradossalmente viviamo in una società, come dice Edgar Quinet, “che ha messo le parole al posto delle cose”. Siamo riusciti a coniare termini ipocriti, retorici, apparentemente non offensivi per descrivere la disabilità, ma siamo ancora lontanissimi da un vero rapporto leale ed umano con essa. Ci sforziamo come in un vortice impazzito, di tenere fede al mito dell’uguaglianza, dell’omologazione e come naturale conseguenza rifiutiamo in radice il diverso. E così c’inventiamo termini come “diversamente abili”, “non vedenti”, “audiolesi”, “motulesi” per non offendere la sensibilità di queste persone chiamandole handicappati, ciechi, sordi. E facciamo ciò non accorgendoci che l’eufemismo non diminuisce il dolore, ma spesso lo aggrava avendo come fondamento l’ipocrisia e la retorica. Qualche tempo fa sono stato ad una manifestazione sportiva in cui erano protagonisti dei ragazzi con handicap mentali. Si trattava di un torneo di calcio all’italiana. Le persone che si prendevano cura di loro avevano esattamente lo stesso atteggiamento di Driss nei confronti di Philippe. Se c’era da rimproverarli per un passaggio sbagliato lo facevano, li incitavano anche con durezza a dare di più, di fronte a situazioni comiche ne ridevano senza farsi grossi problemi. Ricordo che durante un’azione uno dei due portieri guardò la palla entrare in porta lentamente e non fece neanche il gesto di prenderla. E alla domanda del mister su perché non l’avesse fermata questi rispose: «Come perché, era tutta sporca di fango…!». Ci fu una grande risata ad accompagnare quella frase. Una risata spontanea che metteva in comunicazione due mondi: non era un ridere di quel ragazzo, era un ridere con lui, vale a dire accettarlo nella sua diversità. Qualunque altro atteggiamento avrebbe dimostrato, oltre ad un’ipocrisia senza fine, anche una distanza siderale tra le parti. Ed invece quel ragazzo in quel preciso istante ha capito che, nonostante la sua disabilità, era perfettamente integrato nel gruppo, era parte di esso con tutto ciò che rappresentava. E lo hanno capito anche le persone che erano a bordo campo. E talmente violenta è stata questa presa di coscienza che a qualcuno sono scese anche due lacrime sulle guance.

Ecco, ora dovrei finire il racconto cronologico degli avvenimenti del Ponte dei Santi…, ma non mi sembra il caso…!

Nessun commento:

Posta un commento